Mi ha colpito un’immagine nella nottata delle elezioni regionali, quella del successo di Bonaccini e del Pd in Emilia-Romagna e della vittoria della Santelli e di Forza Italia in Calabria. È l’immagine di Salvini che scende a mezzanotte, da solo, di fronte ai giornalisti, senza la sua candidata Borgonzoni, senza alleati, senza colleghi di Partito. Scende molto prima dell’orario in cui in genere scendono i leader. E mette le mani avanti. Si prende tutto lo spazio politico risultante dalla tornata elettorale, sconfitta e vittoria. Fa il furbo, le mette sullo stesso piano, proietta il risultato sul nazionale, esprime a parole il coraggio del leader, ma con la posa del corpo e l’immagine complessiva di solitudine, trasmette l’idea di una difficoltà nuova per lui. È la solitudine dei leader. Può essere il loro valore nella fase della crescita dei consensi ma è la loro zavorra, quando il quadro cambia.
Salvini ha trasformato il carattere delle elezioni emiliano romagnole da elezione politica, locale con risvolti nazionali, in referendum su di sé. Sul suo modo di fare campagna elettorale, sulla sua visione strategica per la destra italiana, sulla sua concezione del Paese. E ha perso. Da solo. La candidata nella sera della sconfitta ha parlato molto tardi. Molto dopo il leader, da sola, abbandonata. La partita non era su di lei, non era sull’Emilia, era su di lui. Recentemente con Renzi, la personalizzazione del referendum aveva già mostrato i suoi limiti, nonostante, secondo me, la giusta battaglia nel merito. Oggi Giuliano Ferrara ha sostenuto che il destino dei leader più forti in Italia è spesso stato drammatico.
Cita De Gasperi, Andreotti, Moro, Craxi, Fanfani, Segni, Forlani, Berlusconi. Mi sembra complicato uniformare per tutti costoro la medesima analisi, ma è possibile in effetti che vi siano tratti da paragonare nelle parabole di molti leader. Se stai da solo, se decidi da solo, se offri sempre e solo il tuo corpo di fronte ai problemi da risolvere, se tu sei la soluzione, a prescindere dal merito, prima o poi ti schianti. Sicuramente noi stiamo assistendo ad una parabola del leader della Lega. E molto presto per dire che sia già discendente, ma la vicenda emiliano-romagnola, qualcosa può insegnare. Bonaccini, ha voluto poco Pd romano intorno a sé, inteso come immagine di apparato, e molta relazione con gli amministratori locali, con le attività produttive e con quelle sociali. Ha difeso dei risultati già ottenuti, ha esaltato il tessuto del riformismo del fare, tradizionale di quella regione.
Ha fatto squadra. Salvini ha fatto una campagna politicista, al di là delle idee che professa e che io avverso, ha fatto comizi sempre uguali, esaltando l’idea di dover liberare l’Emilia da un ipotetico giogo sovietico e totalitario. Non ha mai, o quasi, fatto vedere la candidata, chiarendo che delle sue qualità, di lei come campione di buona amministrazione gliene importava poco o niente. L’importante era che lui dicesse le cose che da 10 anni dice in Emilia, in Lucania, in Veneto o in Sicilia. C’è stata una competizione tra una campagna ideologica e globale, di Salvini, e del suo corpo ostentato come un’icona, e una campagna riformista e locale di Bonaccini.
Per il Pd questa è un’indicazione fondamentale. Il mantra del populismo che esalta le paure, se contrastato con la consistenza del riformismo può sbattere la testa. Lo dicono i risultati di Bibbiano e del quartiere del Pilastro a Bologna, quello del citofono. Sicuramente poi c’è stata la forza della mobilitazione delle Sardine, l’idea, appunto, che il leader non fosse affatto solo, che una mobilitazione di massa lo circondasse e lo sospingesse, combattendo pigrizia e indifferenza. Una bellissima cosa. La storia non finirà a Bologna, ci saranno mesi difficili; per la scelta di quale rapporto intessere tra Pd e Cinque Stelle, con Italia Viva, per l’agenda di governo, per il percorso congressuale del movimento ora guidato da Crimi, per quello che forse potrebbe intraprendere il Pd, per il percorso della Legge elettorale e molto altro ancora. Non bisogna esaltarci, come dice Castagnetti, certo, ma neanche intristirsi dopo una vittoria; ma se non facessimo tesoro di quello che è successo in questa domenica, se non ne traessimo delle lezioni, meriteremmo di non vederne più di vittorie.