L’economia del Regno Unito ha attraversato un percorso accidentato sotto la guida dei Tory, soprattutto dopo la Brexit. La promessa di una nuova sovranità e della libertà economica è stata in diretto conflitto con le conseguenze della rottura dei legami con l’Ue, il più grande partner commerciale del Regno Unito. I camion continuano a fare la fila a Dover per attraversare il confine con l’UE.

L’impatto economico della Brexit è stato significativo, portando la riduzione dei volumi di scambio, l’interruzione delle catene di approvvigionamento e un generale senso di incertezza che ha afflitto le imprese e gli investitori. La decisione di lasciare l’Ue ha portato a una forte svalutazione della sterlina che non si è mai completamente ripresa ai livelli pre-referendum. Ciò ha aumentato il costo delle importazioni, contribuendo all’aumento del costo della vita, e in definitiva scatenando un’inflazione peggiore rispetto alle economie europee.
La Brexit ha anche messo a dura prova la coesione sociale del Regno Unito. Il referendum ha esposto e aggravato profonde divisioni all’interno della società britannica, creando un netto contrasto tra coloro che sostenevano l’uscita dall’Ue e coloro che intendevano restare nell’unione. E ha avuto un impatto anche sulla politica. I Tory sono stati particolarmente colpiti.

A volte negli ultimi otto anni i conservatori sembravano più in guerra tra loro che con l’opposizione, divisi in varie correnti dai brexiteers fondamentalisti di destra ai neoliberali progressisti. Il che li ha resi incapaci di governare in maniera efficace. Anche il mercato del lavoro non è stato risparmiato. L’esodo di cittadini dell’Ue, che svolgevano un ruolo vitale in diversi settori (dalla sanità all’agricoltura), ha lasciato lacune significative che devono ancora essere colmate. I datori di lavoro affrontano carenze croniche di personale che – insieme all’aumento dei costi dei beni e dei servizi – ha messo pressione sulle imprese e, di conseguenza, sull’economia. Inoltre la promessa di una “Gran Bretagna Globale” ha faticato a materializzarsi. Mentre sono stati firmati nuovi accordi commerciali, i benefici sono stati marginali rispetto alle relazioni commerciali perse con l’Ue. Il Regno Unito non è sembrato in grado di sfruttare le paventate opportunità della Brexit.

Anche prima della Brexit la gestione dell’economia da parte dei Tory è sempre apparsa reattiva e incapace di anticipare e gestire i fenomeni. La risposta ai crescenti deficit dovuti ai salvataggi bancari della grande crisi finanziaria del 2008? Anni di austerità fiscale sotto George Osborne, con tagli alla spesa pubblica che hanno colpito servizi essenziali come la sanità e l’istruzione. Queste misure pensate per ridurre il debito pubblico hanno invece portato a servizi pubblici sottofinanziati e un conseguente crescente malcontento pubblico. I tempi di attesa del NHS (il servizio sanitario nazionale) e la criminalità nelle città sono un esempio lampante del fallimento delle politiche dei Tory. A cui si sono aggiunte la stagnazione della produttività e il calo dei salari reali.

La gestione dell’economia da parte del governo conservatore e le ricadute della Brexit hanno anche minato la fiducia dei cittadini. La costante agitazione politica, i frequenti cambi di leadership e la percezione di una mancanza di una strategia coerente hanno lasciato molti delusi. La fiducia nelle istituzioni politiche è stata erosa così come la pazienza degli elettori. C’è preoccupazione per i problemi più complessi, ma anche per quelli minori. Questa sarà un’elezione per reclamare una sorta di identità e visione di cosa significhi una Gran Bretagna fuori dall’Europa, oltre a intervenire sulle falle sempre più numerose. E la nazione si sentirà davvero coinvolta nella discussione? A questo punto, dopo gli ultimi otto anni di post-Brexit, sembra che manchi l’entusiasmo. Viene in mente la ormai iconica donna intervistata dalla BBC prima delle elezioni del 2017, quando le venne detto che Theresa May aveva convocato un’elezione: “Stai scherzando? Un’altra? Oh per l’amor di Dio!”.

Comunque la stragrande maggioranza dei britannici vuole un cambiamento. Il disprezzo schiacciante per i Tory è iniziato con le rivelazioni del Partygate, quando Boris Johnson è stato accusato di aver organizzato delle feste durante il lockdown previsto per il Covid. Quello è stato il momento in cui il Labour ha superato i Tory nei sondaggi. Era la prima settimana di dicembre 2021. Un altro punto di rottura si è registrato a settembre 2022, quando Liz Truss ha fatto saltare in aria l’economia e ha affondato la sterlina con un “mini-budget” di tagli fiscali senza coperture. Da quel momento il vantaggio del Labour è cresciuto da consistente a quasi irraggiungibile. Ecco perché sembra inevitabile un cambiamento dopo 14 anni di governo del partito conservatore, ormai sempre più stanco e assediato.

Ancora una volta sono interessanti i parallelismi con il 1997: anche allora il paese ne aveva semplicemente abbastanza e voleva un cambiamento. Il Labour si era reinventato da partito dei sindacati e dei lavoratori del nord a uno composto da liberali che vivono in grandi città. I Pulp avevano persino scritto una canzone su di loro: “Cocaine Socialism.” Erano cool, e chiunque era meglio dei Tory. Che risultati ci possiamo aspettare dalle elezioni? I Tory dovranno fare i conti con un fallimento storico come da previsioni? Mentre il risultato è impossibile da prevedere, due cose sono chiare. Innanzitutto l’annuncio delle elezioni anticipate non può che essere un sollievo per il Labour, pronto ormai dalla fine 2022 ad andare alle urne e vincere un’elezione generale. L’elezione anticipata dovrebbe giocare a loro favore.

Tuttavia qualsiasi partito con un vantaggio di 20 punti nei sondaggi all’inizio di una campagna ha tutto da perdere. Starmer è consapevole che potrebbe arrivare un momento in cui durante la campagna elettorale – nei sondaggi, nei notiziari o nei titoli dei tabloid britannici – i media inizino a parlare di contrazione del vantaggio del Labour. E ovviamente Sir Keir, leader del Labour, potrebbe cadere in qualche errore o gaffe di cui è piena la storia recente della politica del Regno Unito. Come quando l’allora primo ministro Gordon Brown chiamò “bigotta” un’elettrice del Labour, perdendo così qualsiasi possibilità di rielezione. O come quando Ed Miliband nel 2014 venne immortalato mentre mangiava un sandwich in maniera goffa.

A un certo punto nelle prossime sei settimane il Labour andrà incontro a delle fisiologiche difficoltà. Sir Keir spera che i 14 lunghi anni di solitaria opposizione siano stati da lezione per evitare le trappole della campagna. Ma sarà sufficiente? Il Labour dovrebbe essere in grado di consolidare i propri consensi e mantenere il vantaggio che ha raccolto fino a vincere le elezioni. La storia però insegna che non sempre i pronostici vengono rispettati. Ad esempio nel 2017 i Tory avevano un vantaggio così forte sul partito laburista di Corbyn che una sconfitta era quasi inimmaginabile. Eppure la campagna di Theresa May fu così disastrosa che il Labour riuscì a colmare il divario. Il risultato – un parlamento in bilico e la coalizione tra Tory e il DUP (Partito Unionista Democratico) – è un chiaro promemoria per il Labour affinché eviti leggerezze.

Oltre ai numeri va considerato che il panorama elettorale del Regno Unito è diverso da quello del 1997 per una ragione specifica: la Scozia. Il Labour ha sempre tradizionalmente dominato a nord del confine, con il Labour scozzese praticamente imbattibile per generazioni. Poi è arrivato il dibattito sull’indipendenza e il SNP (Partito Nazionale Scozzese), negli ultimi 20 anni, è diventato di gran lunga la forza elettorale dominante. Ma oggi il SNP è l’ombra di se stesso. Travolto dagli scandali e dal malaffare, con i big del partito Alex Salmond e Nicola Sturgeon usciti di scena, con la recente guida di Humza Yousaf – che ha preso il posto di Sturgeon nel 2023 – che si è rivelata un disastro. Il partito è ora guidato da un peso massimo apparentemente bollito come John Swinney. Del record storico del 2019 – quando il SNP incassò il 45% dei voti e 48 seggi – il Labour auspica di riconquistare un gran numero di seggi, oltre ad altri collegi persi durante l’ultima elezione nel nord dell’Inghilterra. La Scozia e quei seggi del muro rosso potrebbero risultare decisivi.

Natale Labia

Autore