La relazione al Parlamento del ministro della giustizia Alfonso Bonafede, più per il non detto che per quanto esplicitato, nulla di buono può farci sperare sullo stato della giustizia e su quello delle carceri nel nostro Paese. Le “comunicazioni del ministro sull’amministrazione della giustizia” al Parlamento, che per legge precedono le inaugurazioni degli anni giudiziari presso la Corte di Cassazione e le Corti d’Appello, non hanno fornito, come sarebbe stato doveroso, le cifre, i dati, le statistiche e i raffronti riguardanti numerosi importanti settori. Non una parola, per esempio, è stata detta sul contenzioso penale pendente; eppure sarebbe stato fondamentale fornire alle camere il dato dei procedimenti penali pendenti nell’anno dell’entrata in vigore della contestatissima riforma della prescrizione. Il Parlamento deve sapere o no quale sia la capacità dello Stato di smaltire il contenzioso nel momento in cui si toglie, con l’abrogazione della prescrizione, l’unico freno all’irragionevole durata dei processi? Niente. Silenzio. Omissis.
Non una parola è stata detta sullo stato delle nostre carceri e sul loro sovraffollamento. E questo avviene a pochi giorni di distanza dall’ufficializzazione da parte del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura (CPT) di un rapporto impietoso sulle condizioni di detenzione in Italia ove si riferisce di abusi, di maltrattamenti, di condizioni di isolamento inaccettabili soprattutto nel regime speciale del 41-bis e nelle sue “aree riservate”. Un rapporto, quello del CPT, che sul sovraffollamento afferma che «dal 2016, la popolazione carceraria italiana ha continuato ad aumentare in modo progressivo». E, infatti, dal 2016 ad oggi si registrano quasi novemila detenuti in più e ciò è avvenuto dopo il forte calo seguito alla sentenza Torreggiani del 2013 e ai provvedimenti “tampone” che erano stati varati subito dopo l’esemplare e umiliante condanna dell’Italia per sistematici trattamenti inumani e degradanti nelle nostre carceri.
Su questo fronte, il CPT ha invitato le autorità italiane a «garantire che ogni detenuto disponga di almeno 4 metri quadrati di spazio personale vitale nelle celle collettive» e «ad adoperarsi per promuovere maggiormente il ricorso a misure alternative alla detenzione». Il ministro della Giustizia ha omesso di comunicare al Parlamento che attualmente quasi 61.000 detenuti sono costretti a vivere in 47.000 posti e che ci sono carceri dove il sovraffollamento supera il 200%. E il sovraffollamento dà luogo ad un degrado delle strutture, a minore assistenza sanitaria, a diminuite possibilità di lavorare o studiare, a ridotte possibilità di accoglimento delle istanze rivolte alla magistratura di sorveglianza.
Sulle carceri il ministro Bonafede ha però detto tre cose. La prima riguarda il personale. Afferma che arriveranno nuovi agenti per far fronte alle carenze degli organici: vedremo se queste nuove immissioni riusciranno almeno a coprire i pensionamenti che si verificano ogni anno. Quanto, invece, al personale “trattamentale”, le cifre sono nel modo più assoluto deludenti anche perché il ministro non fornisce i dati aggiornati delle attuali carenze di organico, che sappiamo essere spaventose quanto ad educatori, ad assistenti sociali, a personale amministrativo e persino a “direttori”, figura, quest’ultima, oramai in via di estinzione, mai compensata da più di vent’anni con l’indizione di un serio concorso. Su questo fronte, che dovrebbe vedere schierate migliaia di professionalità impegnate a riabilitare e reinserire, il ministro ha detto che ci saranno in più solo «50 tra funzionari giuridico-pedagogici e mediatori culturali, 100 funzionari della professionalità pedagogica e di servizio sociale nonché 18 dirigenti per gli uffici di esecuzione penale esterna».
La seconda riguarda l’edilizia penitenziaria e qui registriamo una singolare contraddittorietà e sfasatura tra quanto riferito dal ministro Bonafede in parlamento e quanto affermato dal suo gabinetto in risposta ai rilievi del CPT sulla ripresa del sovraffollamento. In Parlamento il ministro ha parlato di uno stanziamento, da oggi ai prossimi 13 anni, di circa 350 milioni di euro per creare nuovi posti detentivi (senza specificare quanti) rispetto alla dotazione attuale di poco più di cinquantamila; dall’altra parte, il suo gabinetto riferisce al CPT di 5.000 nuovi posti che saranno costruiti nei prossimi 5 anni, «al fine di raggiungere l’obiettivo di 60.000 posti di detenzione regolari disponibili», con ciò dando per scontato che altri 5.000 posti saranno prossimamente fruibili non si sa come. Insomma, il ministro prospetta un piano carceri da qui a 13 anni mentre all’Europa il suo gabinetto ne prospetta un altro, velocissimo, di 5 anni per 10.000 posti. Noi, che conosciamo i risultati catastrofici dei precedenti piani, ci sentiamo presi in giro da queste inutili parole che dovrebbero impegnare i prossimi futuri governi… fino al 2033!
Non una parola ha detto il ministro sulle pene e misure alternative alla detenzione che sì avrebbero un impatto immediato sul sovraffollamento e che gioverebbero moltissimo all’abbattimento della recidiva. Che senso ha tenere nelle nostre galere le 16.828 persone che devono scontare una pena residua inferiore ai due anni? Non sarebbe più utile fargli scontare una misura che sia meno criminogena dello stare in una squallida cella quasi sempre senza costrutto ai fini di un imminente ritorno nella società? Eppure è proprio questa la richiesta che viene dal CPT e dalle regole penitenziarie europee delle quali però non si vuol far tesoro.
Qualcuno forse dirà che il ministro Bonafede ha però comunicato al Parlamento di avere «investito la maggior parte delle proprie energie puntando sul lavoro dei detenuti, come forma privilegiata di rieducazione». Arriviamo così al terzo punto, il lavoro. Ecco, su questo, possiamo con certezza affermare – perché i dati, anche degli anni passati, li abbiamo presi dal sito del Ministero – che questo sforzo del Governo ha prodotto una diminuzione delle già scarse opportunità di occupazione che ci sono in carcere. Con i governi Conte 1 e Conte 2 abbiamo infatti perso 1.554 posti di lavoro per i detenuti. Un successone. In tutto questo c’è da chiedersi quali responsabilità intenda assumersi il Partito Democratico che, pur facendo parte della compagine governativa, sembra aver appaltato al giustizialismo dei 5 stelle tanto la drammatica condizione della giustizia quanto quella delle nostre inumane carceri.