A quasi mezzo secolo dai tragici fatti di cascina Spiotta, nell’Alessandrino, dove nel 1975 morirono in uno scontro a fuoco Mara Cagol, e un appuntato dei carabinieri, Giovanni D’Alfonso, il nome di Renato Curcio, uno dei fondatori delle Brigate Rosse e marito della stessa Cagol, è stato inserito nel registro degli indagati dalla procura di Torino.

La notizia, anticipata oggi dalla Gazzetta di Reggio e dal Messaggero, è stata confermata all’Ansa da ambienti investigativi. Curcio è stato interrogato a Roma alla presenza del suo avvocature difensore Vainer Burani. Le indagini, svolte dai carabinieri del Ros, sono state aperte dopo un esposto di Bruno D’Alfonso, figlio del militare ucciso.

Curcio, secondo quanto appreso dall’agenzia stampa, ha risposto a tutte le domande dei magistrati e ha negato il suo coinvolgimento nell’omicidio del carabiniere Giovanni D’Alfonso. Curcio, secondo quanto si apprende, era stato convocato come testimone assistito ma a pochi giorni dall’interrogatorio è diventato indagato per concorso nell’omicidio dell’appuntato.

Non solo: il fondatore delle Brigate Rosse ha anche chiesto agli inquirenti di chiarire le circostanze della morte della moglie, che in quel periodo era latitante dopo l’evasione dal carcere di Casale Monferrato.

In occasione della sparatoria alla cascina Spiotta, avvenuta il 5 giugno 1975, morirono appunto Cagol e il carabiniere Giovanni D’Alfonso. Un’altro carabiniere rimase ferito nello sconto a fuoco e un brigatista riuscì a sfuggire.

Nella cascina i brigatisti tenevano in ostaggio l’imprenditore piemontese Vittorio Vallarino Gancia, catturato il 4 giugno dia un commando delle Br. Il caso è stato riaperto dopo un esposto di Bruno D’Alfonso proprio per accertare l’identità del secondo brigatista sul posto.

Indagini, quelle di Procura e carabinieri del Ros, fondate anche sull’ascolto di numerosi ex brigatisti, tra cui Alberto Franceschini, che con Curcio e Mara Cagol è stato tra i fondatori delle Br.

Curcio nel suo interrogatorio ha fatto riferimento in particolare all’autopsia della moglie, da cui risulta che sia stata trafitta da un proiettile sotto l’ascella: elemento che dimostrerebbe secondo Curcio come in quel momento si fosse già arresa e avesse le mani alzate.

Le accuse invece nei confronti dell’ex fondatore delle Br, indagato per concorso nell’omicidio del carabiniere D’Alfonso, farebbero riferimento a delle espressioni contenute in un opuscolo propagandistico sequestrato nell’ottobre del 1975.

L’opuscolo, secondo quanto scrive l’Ansa, è intitolato ‘Lotta armata per il comunismo’. In particolare gli investigatori si sono interessati a un paio di indicazioni ai militanti: “se il nemico vi avvista, sganciatevi” e se questo non è possibile “rompete l’accerchiamento sparando“.

A Curcio la procura attribuisce un ‘ruolo apicale’ nelle Brigate Rosse e, quindi, di avere deciso e organizzato il sequestro di Vittorio Vallarino Gancia. Curcio però ha ricordato che nei mesi precedenti, a seguito della sua evasione dal carcere di Casale Monferrato del 18 febbraio 1975, viveva nascosto e aveva pochissimi contatti con l’esterno.

Di diverso avviso il legale di Curcio, l’avvocato Vainer Burani, che parla delle nuove indagini come di “una anomalia assoluta”. Naturalmente – aggiunge Burani – non è sbagliato cercare di chiarire cosa successe allora. Ma a distanza di 48 anni un’indagine è problematica di per sé, e questo mi sembra il modo peggiore di ricostruire una vicenda così lontana nel tempo. Attribuire a Curcio un ruolo diretto o indiretto su queste basi è una forzatura priva di logica giuridica“.

Avatar photo

Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia