Il caso
Renzi e Gasparri garantisti a targhe alterne: su Zagaria e Bonura diventano giustizialisti

Che cosa unisce Matteo Renzi e Maurizio Gasparri, oltre al fatto che sono ambedue senatori della repubblica? Il garantismo per esempio, verrebbe da dire, visto che militano in due partiti che non amano alzare le forche: non Italia viva, men che meno Forza Italia. Invece accade proprio il contrario. Così si buttano tutti e due, con sprezzo del pericolo, nella discussione feroce su alcuni “differimenti di pena” ordinati da tribunali di sorveglianza. Si buttano, e chiedono radiazioni e licenziamenti di chi ha scarcerato. A casa devono andare i magistrati e i responsabili del ministero, magari anche lo stesso Guardasigilli, strillano.
Chiariamo subito che i provvedimenti che più hanno destato scandalo, quello del giudice milanese nei confronti di Francesco Bonura e quello del tribunale di Sassari in favore di Pasquale Zagaria, sono ineccepibili. Forse tardivi, a guardare la personalità dei due reclusi e il loro quadro clinico. Il primo era arrivato al termine della pena, che scontava nel regime previsto dall’articolo 41 bis, che vuol dire carcere impermeabile all’esterno, benché non fosse stato condannato per fatti di sangue. Ha 78 anni, una gravissima forma di tumore già operato e con recidiva in corso, oltre a tutte le altre patologie tipiche dell’età. Tra nove mesi sarà comunque libero, piaccia o non piaccia ai senatori Renzi e Gasparri. In ogni caso l’ordinanza del giudice di Milano ne ha disposto i domiciliari solo fino a giugno. È ovvio che non gli convenga darsi alla fuga, ma che desideri semplicemente curarsi in un luogo più sicuro di un carcere dove il personale si muove tra tutti i reparti, compresi quelli isolati.
Il caso di Pasquale Zagaria, cui il tribunale di sorveglianza di Sassari ha concesso cinque mesi di detenzione domiciliare in un paesino del bresciano dove risiede la moglie con i figli, è apparentemente frutto di qualche discrasia tra magistratura e Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, cioè un’emanazione del Ministero di giustizia. I cui ritardi ne hanno impedito il trasferimento in un centro clinico di detenzione. Ma in realtà è molto ben motivato. Anche in questo caso si tratta di una persona che non si è macchiata di reati di sangue, che si è spontaneamente costituita nel 2007 e che ha ammesso le proprie responsabilità.
In questo momento è gravemente malato e non può continuare le sue cure chemioterapiche (ha un carcinoma papillifero di alto grado) nell’ospedale di Sassari, perché questo è stato trasformato in centro per i malati di Covid-19. Il magistrato che ha steso l’ordinanza scrive esplicitamente che neppure nella cella singola il recluso è indenne dal rischio di contagio da coronavirus, perché non si può garantire un isolamento totale dal personale di polizia penitenziaria e dagli staff civili che ogni giorno entrano ed escono dal carcere.
Ineccepibili tutti e due i provvedimenti. C’è quindi da domandarsi se i vari Catello Maresca, pm napoletano che l’altra sera in una trasmissione tv ha aggredito il capo del Dap Francesco Basentini come se questi avesse avuto l’intenzione di far ricostruire il clan dei casalesi, e poi don Ciotti, ma anche politici attenti come Gennaro Migliore, e Mirabelli e Verini e Giusi Bartolozzi abbiano letto e si siano informati. Ripetiamolo: si tratta di “differimenti pena” di pochi mesi in favore di persone che a questo punto della loro vita desiderano solo potersi curare e non vedersi comminare una pena accessoria, cioè la pena di morte da coronavirus.
Che cosa hanno scritto nei loro tweet Renzi e Gasparri? Il leader di Italia viva se la prende con il ministro Bonafede. “La scarcerazione dei superboss di camorra e ‘ndrangheta – scrive -è INACCETTABILE. Il ministro Bonafede cacci subito il responsabile di questa vergogna”. Chiunque sia il “responsabile” a dover essere cacciato, un magistrato (che non può certo esser licenziato da un ministro) o il capo del Dap, quel che è chiaro è che Matteo Renzi ha deciso di spogliarsi della veste di garantista ( del resto un po’ appicicaticcia) per indossare quella più consona a Gasparri, da sempre il volto forcaiolo di Forza Italia.
Il quale ha fatto di peggio, rendendo pubblico il nome del magistrato milanese che ha disposto i domiciliari per Bonura e ne ha chiesto la radiazione dalla magistratura, insieme ai colleghi del tribunale di sorveglianza di Sassari. Venendo immediatamente preso di mira da alcuni consiglieri del Csm, che lo citano come “un noto politico” e chiedono l’apertura di una pratica a tutela dell’indipendenza e dell’autonomia dei magistrati colpiti.
Ma al di là dei singoli casi, c’è un altro problema che dovrebbe allarmare chi ha a cuore la divisione dei poteri e i diversi ruoli all’interno dell’amministrazione della giustizia. L’ha ben individuato la giunta dell’Unione delle camere penali e riguarda l’ipotesi prospettata dal ministro Bonafede di mettere le decisioni dei tribunali di sorveglianza sotto la tutela delle Direzioni Distrettuali antimafia quando si trattano pratiche che riguardano determinati reclusi. Sarebbe gravissimo, dicono i penalisti, che un organo di giurisdizione dovesse essere controllato da un organo di investigazione, cioè il giudice sottoposto al Pm. Forse anche il Csm farebbe bene a essere allarmato, aggiungiamo noi, non solo quando viene toccata la corporazione.
La commissione bicamerale antimafia, infine, che nella riunione di domani avrebbe un compito molto importante, perché esaminerà il tema dell’ergastolo ostativo dopo la sentenza della Corte costituzionale, ma che probabilmente finirà con il perdere il suo tempo a scandalizzarsi perché quattro malati andranno a casa per qualche mese. Ritenendo di essere a “Non è l’arena” invece che nel Parlamento della Repubblica.
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