“Alfredo Romeo poteva chiamarmi, lo conoscevo. Questa idea che per arrivare a me cercasse Russo e mio padre mi sembra surreale”. Deposizione definitiva quella di Matteo Renzi ieri nel processo Consip in corso a Roma che vede imputato anche Romeo per traffico di influenze. Nel procedimento sono imputati, tra gli altri, Tiziano Renzi, padre del leader di Italia Viva, l’ex parlamentare Italo Bocchino, il manager Carlo Russo, l’ex ministro Luca Lotti e l’ex generale dei carabinieri Emanuele Saltalamacchia.

Secondo l’accusa, Russo, imprenditore toscano del settore farmaceutico, aveva inizialmente stretto un legame con Tiziano Renzi. Successivamente gli avrebbe chiesto di fare pressioni sugli ad di Consip dell’epoca (prima Domenico Casalino, poi Luigi Marroni) per condizionare alcune gare Consip. L’ipotesi di partenza era che volesse condizionarle a favore di Romeo, senonché gli amministratori di Consip, Casalino e Marroni, hanno spiegato che le società per le quali hanno ricevuto raccomandazioni non erano quelle di Romeo – hanno escluso che fossero quelle di Romeo – bensì le società concorrenti. E che quindi Romeo – se condizionamento ci fu – fu vittima e non beneficiario.

“La verità è che mio padre non ha preso un euro da Romeo ha dichiarato Matteo Renzi – mentre invece ha preso migliaia di euro da Marco Lillo e da Il Fatto quotidiano”. Il riferimento è alle varie cause che il giornale di Travaglio ha perduto contro il padre di Renzi e ai conseguenti risarcimenti. L’ex premier, non indagato, ha poi ricostruito quello che accadde quando era a Palazzo Chigi. “L’Eni era importante, non Consip. Ho letto di forze dell’ordine che intercettavano senza autorizzazione e capite che c’è qualcosa che non torna”. Quando eravamo al governo “noi eravamo terrorizzati che ci fossero indagini”. “Con mio padre ho avuto qualche discussione – continua – quando ho letto su un quotidiano che mio padre avrebbe avuto un incontro in una bettola segreta, l’ho chiamato e ho alzato un po’ la voce”.

Renzi ha ricordato anche il suo legame con Luca Lotti: “E’ stato uno straordinario collaboratore sia a Palazzo Chigi sia nell’esperienza con il Pd. Avevamo un rapporto molto stretto, eravamo più che colleghi. Le vicende politiche degli ultimi anni ci hanno diviso e si è molto raffreddato anche il rapporto personale che non è più quello di prima”. Ma è sull’inizio dell’indagine Consip che Renzi ha manifestato tutte le sue perplessità: “E’ una vicenda che parte da Ischia (indagine Cpl Concordia, n.d.r.) dove non c’entravamo nulla e in molti dicevano ‘da Napoli arriverà un siluro per Renzi’. Io non credo ai complotti ma troppe cose non tornano in questa vicenda”.

Ed in effetti per comprendere le parole di Renzi è necessario riavvolgere il nastro e tornare al 21 dicembre del 2016 quando arrivò alla Procura di Roma, allora diretta da Giuseppe Pignatone, l’indagine Consip istruita fino a quel momento dal pm napoletano Henry John Woodcock con i carabinieri del Nucleo operativo ecologico (Noe) diretti dal colonnello Sergio Di Caprio, alias capitano Ultimo. L’informativa di 900 pagine, neppure il tempo di essere protocollata a piazzale Clodio, finirà quasi interamente sui giornali, ad iniziare dal Fatto Quotidiano.

Il sospetto è che qualcuno avesse voluto affossare Renzi ed il Giglio magico. La Procura di Roma reagì indagando i carabinieri del Noe, ad iniziare dal maggiore Giampaolo Scafarto, l’estensore dell’informativa, Wodcoock, ed alcuni giornalisti fra cui Federica Sciarelli. Che poi saranno prosciolti.