Caro Direttore, la lettera che Marina Berlusconi ha inviato al Suo giornale per stigmatizzare il tentativo di criminalizzare anche post mortem il padre Silvio ha suscitato una vasta eco nel dibattito politico. In particolar modo qualcuno vi ha voluto leggere una strisciante polemica all’interno della maggioranza che governa il nostro Paese viste anche le dichiarazioni tranchant che Giorgia Meloni ha dedicato all’argomento in un punto stampa.

Non sono mancati poi i retroscenisti abituati a scorgere complotti ovunque che hanno sostenuto come Italia Viva usi la giustizia come argomento sul quale tessere alleanze con una parte della maggioranza. Rispetto le opinioni di tutti e sto volutamente alla larga dalle letture più politicistiche.

Mi limito a una semplice considerazione, forse persino banale. Se facciamo uno sforzo per attenerci alla realtà, e solo a quella, cancellando ogni implicazione, retropensiero, elucubrazione ci rendiamo conto che la lettera di Marina Berlusconi è la doverosa e nobile denuncia di una figlia che difende il padre, ma anche di una cittadina che chiede una giustizia giusta e invita i PM a perseguire i reati, non a inseguire i nemici.

Caro Direttore, io non ho mai votato Silvio Berlusconi a differenza di molti lettori del Suo quotidiano. E Berlusconi ha votato la fiducia ai governi Monti, Letta, Gentiloni ma mai al mio governo. Anzi, la scelta di Berlusconi di rompere il patto del Nazareno ha causato la fine della mia esperienza alla guida del Paese. Dunque io non posso essere tacciato di complicità o di essere in debito con la memoria del Presidente Berlusconi. Ho sempre sostenuto che in politica lui non potrà avere eredi perché il Cavaliere è stata una figura più unica che rara. Tutto ciò premesso, posso dire a voce alta e senza timore di apparire di parte che contestare a Silvio Berlusconi una qualsiasi forma di partecipazione nella drammatica vicenda delle stragi del 1993 è semplicemente folle. Le stragi dei Georgofili, di Roma e Milano, il fallito attentato a Maurizio Costanzo: davvero c’è chi vede una responsabilità di Berlusconi in tutto questo?

O c’è piuttosto il desiderio di affibbiare al politico che non si ama non già – come sacrosanto – la qualifica di avversario ma quella di nemico, anzi direttamente di mafioso. È il racconto che i professionisti dell’antimafia e le toghe ideologizzate (le stesse che hanno fatto la guerra a Falcone al CSM e che hanno consentito un indecoroso depistaggio sulla strage di via D’Amefio in cui morì Borsellino) hanno sempre fatto: fuori la mafia dallo Stato. Anziché combattere tutti insieme contro la mafia si preferisce indicare gli avversari come mafiosi così da rivendicare una presunta superiorità etica. Come se i premier sgraditi, da Andreotti a Berlusconi, potessero essere messi all’indice non per le proprie idee ma per una folle accusa di mafia.

Ha fatto bene Marina Berlusconi a criticare l’assurdità di queste infamanti accuse. Perché non è di una indagine che si sta parlando ma di un tentativo – quello di una minoritaria parte della magistratura – di alimentare la narrazione che i vertici delle istituzioni più lontani dalla sinistra avessero rapporti con la mafia.

Perquisire la casa di Dell’Utri trent’anni dopo – e dopo che comunque Dell’Utri ha trascorso anni in carcere – appare come il tentativo di alimentare la visibilità mediatici di una indagine che non ha sostanza e che non ha credibilità. In queste ultimi mesi i procuratori Turco e Tescaroli hanno interrogato quattro volte Massimo Giletti su questa storia ma non hanno trovato mezz’ora di tempo per firmare le ordinanza di sgombero di un edificio occupato abusivamente nel cuore di Firenze nonostante avessero esplicita richiesta in tal senso di Digos e Comune. Una bambina di cinque anni è sparita e la responsabilità morale della vicenda della piccola Kata sta in capo a chi poteva (e doveva! In Italia vige o no il principio di obbligo di esercizio dell`azione penale?) intervenire subito e non lo ha fatto. Reputo squallido che la procura di Firenze si preoccupi di infangare la memoria di Berlusconi ma non si occupi di garantire la legalità nella città che dai tempi dell`Istituto degli Innocenti accoglie i bambini, non li fa sparire per colpa del racket dell’abusivismo. E chi ricorda la vicenda del piccolo Patriarchi sa che non è la prima volta che la Procura di Firenze ignora gli allarmi di chi la legalità la difende davvero: in quel caso furono i Carabinieri a chiedere ai Pm fiorentini di intervenire ricevendo un rifiuto e la conseguenza fu la tragica morte di un bambino di sette anni.

Qualcuno dirà: tu dici questo perché attacchi i Pm fiorentini. No, non è vero. Ho un conto aperto con i Pm fiorentini, certo, perché nelle indagini su di me loro hanno violato la legge, come ha spiegato cinque volte la Corte di cassazione, e forse anche la Costituzione.

La Procura di Firenze si occupa d’infangare il Cavaliere ma non garantisce la legalità in città: lo vedremo quando la Consulta comunicherà le proprie decisioni, mi auguro il prima possibile. Ma proprio per questo le mie vicende con il procuratore Turco le affronto nelle aule giudiziarie _dove spero che egli venga penalmente condannato per falso.

Se scrivo questo non è perché attacco i Pm fiorentini, ma perché conosco quel Pm. E so che l’ideologia per lui viene prima della realtà.

Non ho paura di dire la mia allora per difendere chi non può più parlare come Silvio Berlusconi. Ne difendo la memoria – da avversario – perché così facendo rendo un servizio non solo alla sua storia personale ma direi ancora prima elle Istituzioni di questo Paese. Bisogna smetterla di considerare gli avversari come mafiosi e combattere tutti insieme contro la mafia ora e sempre. Le dinamiche tra Forza Italia e la Premier non mi interessano. Ma spendere la mia parola per Silvio Berlusconi nasce dal desiderio di riportare tutti alla realtà e al rispetto. Senza il quale ogni gioco democratico diventa lotta nel fango e non scontro di idee.

Matteo Renzi

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