Quando penso a Matteo Renzi mi viene in mente il colloquio tra il principe di Salina (‘’Il Gattopardo’’) e don Calogero Sedara. Il principe chiede al mezzadro arricchito (espressione del nuovo potere) la mano della figlia Angelica per il nipote Tancredi Falconieri, lasciando intendere che le condizioni economiche del giovane sono molte precarie e che del resto non potrebbe esibire tanta eleganza e signorilità se nella storia della sua famiglia non ci fosse la dilapidazione di diversi patrimoni.

Renzi, visione e distruzione

Allo stato l’unica proprietà di Tancredi viene così descritta dallo zio: «Una bella villa: la scala è disegnata da Marvuglia, i saloni sono stati decorati dal Serenario; ma per ora, l’ambiente in miglior stato può appena servire da stalla per le capre». Mutatis mutandis. Le stesse considerazioni possono essere fatte per Renzi: nessun leader politico potrebbe essere così astuto, intuitivo, brillante, se non avesse in un decennio di impegno politico nazionale sfasciato tre partiti, stracciato patti e accordi politici quando per lui non erano più convenienti, pugnalato alle spalle un presidente del Consiglio del suo stesso partito, perso un referendum istituzionale, aggiustato per ben due volte nella scorsa legislatura il quadro politico sottraendolo alla morsa gialloverde.

Dalla fila ai gazebo alle intuizioni politiche

Fu il solo a capire che Salvini si era scavato la fossa da solo e che Conte era pronto a tradire; e fu ancora il solo che intravide la possibilità di un governo Draghi. Ma il bilancio complessivo è ben poco incoraggiante. Nel 2013 fu eletto alla segreteria del partito (che nelle elezioni non aveva certo deluso) come se fosse il Salvatore, in grado di resuscitare i morti. La gente faceva la fila ai gazebo per votarlo alle primarie. Alle elezioni europee del 2014 il Pd si avvicinò al traguardo del 40% dei voti.

Renzi 10 anni dopo…

Dieci anni dopo, nel giugno scorso, col suo nuovo partito non è riuscito a superare la soglia d’accesso del 4%. Nel frattempo anche il Terzo Polo era andato a farsi benedire. Si dirà che l’uomo del veto è stato Carlo Calenda. Ma, a pensarci bene, fu Renzi a recuperare Calenda tra le macerie di “Scelta civica” e a portarlo prima a Bruxelles poi al governo. Oggi – se restiamo all’esempio letterario da cui siamo partiti – Matteo è pronto a giocarsi Italia Viva (che potrebbe essere paragonata alla villa di cui era proprietario Tancredi) per convolare a giuste nozze con Elly Schlein (nei panni di Angelica Sedara, benché priva di una ragguardevole dote), facendo ritorno a casa con la speranza di essere accolto come il figliol prodigo, rinunciando però a quegli ideali innovativi (“garibaldini?”) di cui aveva dato prova facendo approvare, dalla maggioranza che appoggiava il suo governo, quel Jobs Act che dalla sinistra di oggi è considerato una deviazione neoliberista.