Sono stato censurato anche io dalla Rai. Non sono Fedez, non ho la sua voce, non canto come lui, ho un numero di follower cento volte più modesto del suo, e un conto in banca 10 mila volte più piccolo. Dal palco del primo maggio ho parlato solo una volta, da ragazzo, mezzo secolo fa, un anno che i sindacati lasciarono un piccolo spazio a noi studenti, ma solo pochi minuti (allora c’era uno strano modo di celebrare la festa del lavoro: invece dei cantanti parlavano i sindacalisti, oppure gli operai, gli studenti, gli impiegati. Immagino che a molti di voi queste strane abitudini del passato appariranno un po’ astruse. pensate che qualche volta salivano sul palco persino dei rappresentanti della casta, soprattutto dei partiti di sinistra).

Comunque, ribadisco, nel mio piccolo, anch’io sono stato censurato. Proprio ieri. Vi racconto bene. Un paio di mesi è venuto a trovarmi un giornalista di Report (programma di Rai 3) e mi ha fatto un’intervista. Io ho accettato di parlare anche perché nonostante la mia età avanzata resto un ingenuo. Mi fido sempre degli altri. Penso sempre di essere circondato da gente onesta. Non so se dipende dal mio carattere, o dal mio garantismo, o da un difetto di intelligenza. L’intervista è durata un po’ più di un’ora. Riguardava lo scandalo del processo a Berlusconi sull’evasione fiscale di Mediaset (quello che finì con la condanna a quattro anni di carcere), e la denuncia che di questo scandalo fece uno dei giudici che aveva partecipato alla sentenza di condanna, un certo giudice Amedeo Franco, che qualche anno dopo confessò, allo stesso Berlusconi, che non era stato un processo ma un plotone di esecuzione. Disse proprio così: un plotone di esecuzione, una porcheria. Non succede spesso che un giudice dica che una sentenza che lui stesso ha firmato era una puttanata. Questo Franco doveva essere un giudice spregiudicato, come spesso sono i giudici, ma con una certa coscienza personale. E capacità di autocritica.

Lunedì scorso è andato in onda il servizio di Report che conteneva la mia intervista. Di settanta minuti di discussione accesa tra me e l’intervistatore (che giustamente era molto aggressivo) ne sono andati in onda tre o quattro. Non scherzo, eh: tre o quattro. E dopo le mie parole è comparso un giudice supremo – si chiama Ranucci, è il padrone assoluto della trasmissione – il quale ha spiegato agli ascoltatori che tutto quello che io avevo detto (pochissime cose) era roba da non prendere in considerazione perché era stata censurata dall’ordine dei giornalisti (tempio, come voi ben sapete, della libertà). Non mi era mai successa una cosa così. Penso che a poche persone sia successo. L’ho presa bene. Sono abituato alle insolenze e del resto faccio questo mestiere ormai da 50 anni, lo ho fatto sempre in trincea, ho rifiutato un paio di volte di entrare in Rai. Credo di aver fatto bene.

Dov’è la censura? Beh, se uno viene qui e mi intervista per un’ora e poi taglia il 97 per cento dell’intervista, voi come la chiamate? Io non dico che le interviste vadano date integralmente, si possono – al limite – persino dimezzare (anche se è una operazione davvero scorretta) ma ridurle al 3 per cento o al 4 per cento dell’intervista integrale non è giornalismo, francamente. È evidente manipolazione e censura. Chissà se l’amministratore delegato della Rai, Salini (che giustamente ha detto, sulla polemica Fedez: “Se qualcuno della Rai ha parlato di ‘sistema’ mi scuso”) dirà: se qualcuno davvero ha tagliato del 97 per cento un’intervista mi scuso e prometto che non succederà più.
Continuo ad avere fiducia totale nella gente: sono sicuro che lo farà.

P.S. Tra le cose, a proposito del giudice Esposito, che Report ha nascosto, c’è la notizia che il giudice Esposito scrive sul Fatto Quotidiano. Cioè che il giudice che ha condannato Berlusconi è un collaboratore di Travaglio. Voi pensate che in qualunque altro paese al mondo una circostanza del genere passerebbe sotto silenzio? E poi c’è l’altra notizia nascosta: che nella giurisprudenza italiana non c’è traccia di persone condannate per l’evasione fiscale di un’azienda del cui consiglio di amministrazione non fanno parte. Né prima della sentenza contro Berlusconi, né dopo. È un caso unico. Diciamo pure un reato non reato assolutamente ad personam.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.