La festa della donna riguarda solo le femministe o va oltre i loro cortei? Il 1° maggio è solo dei sindacati e dei loro iscritti? La giornata del ricordo delle foibe solo della destra che la propose? Si potrebbe partire da questi esempi per giudicare la scelta della Regione Lazio e del suo Presidente Rocca di revocare il patrocinio al RomaPride organizzato a Roma il prossimo 10 giugno. Ogni anno nel mondo il mese di giugno è dedicato alla celebrazione degli scontri tra residenti gay e polizia il 28 giugno 1969 a New York. Da quel momento partì il cammino in tutto il mondo per la conquista di pari dignità e diritti della popolazione LGBT+.

In Italia il Pride, con le sue oltre 50 manifestazioni in tutta Italia a iniziare da quelle di Roma e Milano, viene organizzato dalle associazioni LGBT+, spesso vicine ad una certa sinistra che negli anni ha fatto più battaglie di principio che portato risultati concreti: basti ricordare che le unioni civili sono state approvate da quel Matteo Renzi che da quella sinistra è sempre stato visto come corpo estraneo. Il centrodestra italiano, a parte pochi (a volte significativi) casi isolati, ha sempre osteggiato quei provvedimenti legislativi e disertato le manifestazioni. Ma non è così all’estero.

In Germania, ad esempio, i conservatori della CDU partecipano da anni alle parate dei pride con loro carri. Hendrik Wüst, governatore del Nord Reno Vestfalia, della CDU, ha inaugurato con un bel discorso quella di Colonia che è tra le più partecipate al mondo mentre Kai Wegner, sindaco di Berlino, sempre della CDU, quest’anno aprirà quello della sua città. E come non ricordare la frase che Angela Merkel, dopo aver votato no alla legge che istituiva il matrimonio egualitario ma lasciato libertà di voto nel suo partito (tant’è che Ursula Von Der Leyen votò a favore), pronunciò alla stampa: “Oggi è un giorno di pacificazione nazionale, siamo un paese migliore”.

In Spagna il Sindaco di Madrid, José Luis Martínez-Almeida, del Partito Popolare, fa esporre la bandiera rainbow sul palazzo comunale. Per arrivare al Regno Unito dove ad approvare il matrimonio gay furono i Tories guidati da Cameron, favorevole – come dichiarò lui stesso – “proprio in quanto conservatore”. O agli Stati Uniti, dove, al netto della deriva per le forti pressioni della destra evangelica, molti esponenti e governatori repubblicani supportano il movimento LGBT+ e i loro eventi.

La cosa che troviamo assolutamente inaccettabile è che nel nostro paese il Pride nel 2023, sia ancora una manifestazione “divisiva”, mentre nel resto dei paesi civili non è così: è la festa di tutti, è la festa dei diritti civili. Certamente è mancata laicità nel centrodestra nel capire che quelle manifestazioni vanno ben al di là dei loro organizzatori e delle piattaforme che le convocano: sono infatti feste di gioia, dignità e rivendicazioni di diritti dove partecipano uomini e donne, più o meno giovani, spesso non politicizzati, alcuni dei quali votano pure centrodestra.

Ma è mancata anche laicità in alcune associazioni LGBT che anziché sfidare il centrodestra con la forza del dialogo e della comprensione (non della condivisione!) delle reciproche posizioni, non ha quasi mai cercato di aprire varchi di dialogo sembrando di voler cercare piuttosto lo scontro. L’Italia non è l’Ungheria di Orban, non è la Russia, non è la Polonia. Lo potrebbe diventare? Non siamo così convinti che questo possa accadere, nonostante molti a destra pensano di essere dei “piccoli Orban”. Ma in questa contrapposizione selvaggia, in questa polarizzazione senza dialogo chi ci rimette sono proprio i diritti civili di cittadine e cittadini LGBT+ che non vedranno, per ora, nessun passo avanti nel raggiungimento della piena cittadinanza.

Cosa fare? La destra deve smettere di scimmiottare Putin e Orban e invece saper distinguere tra Pride e battaglie contro la GPA (gestazione per altri) e coltivare canali di dialogo, come più volte un altro governatore, Luca Zaia, presidente del Veneto, ha sottolineato. La sinistra deve cominciare a pensare che le sacrosante battaglie del popolo LGBT+ non siano battaglie di proprietà e sia invece necessario coinvolgere tutto il paese intorno alle tante proposte in campo.

Ma per fare questo ci vuole la Politica con la “p” maiuscola, non certo la propaganda, da qualsiasi parte questa arrivi. Perché la propaganda tiene tutto fermo. Come è stato per molti anni, fino alle unioni civili. E come è, dopo quella parentesi, di nuovo oggi.

Alessio De Giorgi, Anna Paola Concia

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