Riccardo Misasi fu vittima del pool, così fu fatto fuori

Il Riformista ha riportato a tutta pagina la notizia secondo cui la cosiddetta stagione di “Mani pulite” fu in realtà un golpe. A svelare ciò non sono gli archivi dei servizi segreti ma lo si deduce dalla prefazione dell’ex pm Gherardo Colombo al libro dell’on. Enzo Carra. La tesi mi sembra suggestiva e bisognerebbe trovare “prove” significative su tutto il territorio nazionale. Mi è capitato di riflettere su ciò che in quegli anni successe in Calabria ed in particolare sulla storia dell’uomo politico più importante di quel momento storico: l’on. Riccardo Misasi.

Un politico intelligente, brillante e potentissimo che occupò incarichi nazionali importanti come quello di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri; ministro alla Pubblica istruzione e sottosegretario alla Giustizia. Per oltre trenta anni Misasi fu parlamentare della Repubblica eletto in Calabria con vagonate di voti. Nelle elezioni del 1968 affrontò la “concorrenza” manciniana da sottosegretario alla Giustizia e sembra che proprio in quel periodo molti detenuti siano stati messi in libertà provvisoria. Potrebbe essere questa una cattiveria della stampa di estrema sinistra di allora o dei partiti concorrenti ma quello che è certo che le basi strategiche di quella campagna elettorale di Misasi furono appunto i tribunali disseminati in tutto il territorio calabrese nei quali il sottosegretario alla Giustizia incontrava magistrati, forze dell’ordine e capi elettori.

È superfluo aggiungere che molti tra quest’ultimi non erano proprio degli stinchi di santo. La storia corre veloce e i rapporti di forza cambiano radicalmente con l’arrivo della stagione di “mani pulite” tanto che nel giro di qualche mese avviene la trasfigurazione di Misasi che da uomo politico più potente della Calabria si trasforma in preda inseguita dai “segugi” e su cui le procure aprono un fuoco concentrico. Quello che era stato un intoccabile diventa un malfattore. Viene chiesta l’autorizzazione a procedere per associazione a delinquere di stampo mafioso, gli viene arrestato un figlio, viene indagato come capo del sistema delle tangenti in Calabria e addirittura indicato come mandante dell’omicidio dell’ex presidente delle Ferrovie dello Stato, on.Vico Ligato. Misasi è ancora parlamentare, la Camera con l’astensione del Pds nega l’autorizzazione ma è ormai un uomo braccato. Il 17 marzo del 1993 Misasi rilascia un’intervista al giornalista del Corriere della Sera Paolo Graldi che viene pubblicata col titolo “Don Riccardo in lacrime”.

Il “don” richiama quello di don Calò registrato all’anagrafe come Calogero Vizzini capo della mafia siciliana e non era stato affatto stato messo a caso. Molti magistrati, già alleati e subalterni al potere democristiano, assunsero su di loro il compito si seppellire il cadavere politico di don Riccardo che piange a dirotto e quelle lacrime non erano un segnale di umana debolezza ma di resa politica. Misasi conosceva molto quel mondo torbido già subalterno al potente ministro calabrese e affamato di potere che dominava nei tribunali e comprendeva che, anche se innocente, per sfuggire alle accuse che gli venivano mosse, le “lacrime” sarebbero state il viatico del “perdono”.

E perdono è stato! Doveva piangere ed ha pianto perché Lui sapeva meglio d’ogni altro di cosa sarebbe stato capace quel “potere” di cui era stato sicuro punto di riferimento. Così Misasi si allontanò dalla politica e dalla Calabria e per rendere plastico il suo disinteresse per le vicende calabresi scrisse un bel libro sulla storia di Orvieto. Non della Calabria e non di Cosenza ma di Orvieto. Un libro che oggi potrebbe apparire come un messaggio in bottiglia che venne subito “apprezzato” e recepito perché scritto con il linguaggio che i poteri utilizzano parlando fra di loro, soprattutto in Calabria. Misasi cede il posto che, nel bene e nel male, era frutto d’un consenso popolare che gli consentiva di essere protagonista sulla scena nazionale.