La ministra Marta Cartabia ha affermato che a Napoli «la giustizia è un paziente grave», evidenziando il sottorganico dei magistrati professionali, ma anche degli onorari. Eppure, nonostante l’avvio della procedura di infrazione notificata dall’Europa il 15 luglio scorso, la guardasigilli ha pensato non di inquadrare i 5mila professionisti che da un ventennio portano avanti il 70% del contenzioso civile e penale, ma di ricorrere a magistrati in pensione. E due giorni fa, per giunta, la Commissione Castelli ha depositato una bozza di riforma della giustizia onoraria che limita il ricorso alla magistratura di pace e sacrifica indipendenza e autonomia del Giudice di pace. Tutto ciò, infatti, dimostra che il governo Draghi non ha intenzione di intervenire con una seria riforma strutturale del sistema giustizia, così da non perdere le risorse del Recovery Found condizionate all’efficienza degli uffici e agli incrementi della produttività, né di definire un contenzioso con una magistratura ormai consolidata nella sua professionalità ventennale. Eppure molti operatori giuridici, tra cui esimi magistrati togati e professori universitari, hanno cominciato a comprendere che la riforma della magistratura onoraria, in particolare del Giudice di pace, ha una portata che va ben oltre il suo ambito ed è in grado di incidere notevolmente sul comparto giustizia.

Negli anni il Giudice di pace ha contribuito a neutralizzare i dati negativi delle Corti d’appello e della Cassazione, dimostrando che si può amministrare la giustizia “a legge Pinto zero”, cioè nel rispetto del principio costituzionale della ragionevole durata del processo. Non può essere, invero, ignorato che è proprio sui dati degli uffici del Giudice di pace che l’Italia ha spesso evitato le sanzioni per la irragionevole durata dei processi. Anche per questo sarebbe stato doveroso, invece di farsi colpire dalla procedura di infrazione, emanare un decreto di urgenza volto a inquadrare i magistrati che da decenni svolgono l’attività al servizio dello Stato, garantendo loro una retribuzione adeguata al ruolo e alla dignità professionale.

Per anni abbiamo chiesto un intervento d’urgenza che garantisse un inquadramento economico e normativo immediato ai giudici onorari non solo per dare serenità a una categoria tormentata che con l’emergenza sanitaria si è riscoperta ancora più precarizzata e priva di tutela, ma anche per dare garanzie e chiarezza a chi in questi uffici opera, dunque all’avvocatura e ai cittadini che alla fine sono le vere vittime delle disfunzioni e delle criticità introdotte con la riforma. Quando quest’ultima andrà a regime, il 15 agosto prossimo, provocherà un terremoto nei Tribunali con una ricaduta dei due terzi dei procedimenti sulla magistratura togata, già ora in sottorganico, e porterà all’azzeramento del Giudice di pace. Il progetto, a nostro parere fallimentare, della riforma Orlando avrà un impatto fortissimo soprattutto al Sud, in quanto inciderà negativamente sull’occupazione annullando le professioni intellettuali che sono il patrimonio principale del Mezzogiorno: penso ai piccoli e medi studi degli avvocati che, a differenza di quanto avviene al Nord, incontrano maggiori ostacoli nell’affrontare il contenzioso derivante da contatti internazionali e dai rapporti con le grandi multinazionali che, come tutti sappiamo, difficilmente si insediano da Roma in giù. La riforma Orlando, inoltre, accrescerà il disagio sociale che, soprattutto al Sud, spinge molti a cercare la protezione delle organizzazioni criminali.

Avere un magistrato precario, dunque, significa avere una giustizia precarizzata per l’avvocatura, diritti precari per i cittadini, un Paese non attraente per gli investitori stranieri. E, soprattutto, significa non riuscire a dare risposte alle domande di giustizia in tempi brevi. L’unica soluzione è riprendere il progetto della legge 374 del 1991 che prevedeva l’inquadramento stabile del Giudice di pace nella funzione attualmente svolta, garantendogli i principi fondamentali di indipendenza, imparzialità e professionalità nel rispetto della Costituzione. Si tratta di rendere stabile il Giudice di pace, così come previsto dall’ordinamento giudiziario, e di affidarlo ai soli giudici in regime transitorio che hanno svolto quelle funzioni fino all’età pensionabile e che optino per il regime di incompatibilità assoluta, consentendo loro di smaltire il grave arretrato accumulatosi con la pandemia, ma anche il graduale passaggio del contenzioso verso l’Ufficio del processo: in questo modo si può evitare il collasso della giustizia. Si potrebbe prevedere l’ampliamento della competenza reale del Giudice di pace, con affidamento esclusivo anche in materia di mediazione e negoziazione, realizzando quell’ufficio di giustizia di prossimità fondamentale in uno Stato di diritto.

Io sono un giudice di pace, un lavoratore riconosciuto tale dall’Europa, che da vent’anni pronuncia sentenze in nome del popolo italiano. In realtà sono un fantasma per il mio Stato che mi ha letteralmente abbandonata, nonostante io lo abbia servito degnamente. In questo momento in cui sono affetta da Covid e, dopo 25 anni di servizio precario per lo Stato, sono “reclusa” in una stanza, priva di retribuzione, con la dolorosa consapevolezza che, se non dovessi superare la malattia, ai miei figli non sarà garantita una pensione e neppure una stretta di mano da parte delle istituzioni. Tutto questo la ministra Cartabia, pronta a richiamare in servizio i magistrati in pensione, lo sa?