Sono ore molto caotiche sulla possibile restrizione delle agevolazioni fiscali per il rientro dei cervelli in Italia. Prima il via libera alla bozza di decreto legislativo, poi le polemiche dell’opposizione a cui sono seguite le rassicurazioni del caso da parte del governo, infine un grande punto interrogativo che non ha ancora reso chiara la strada che percorrerà l’esecutivo. La navigazione turbolenta si inserisce in un contesto di grande incertezza legata anche ai passaggi burocratici prima di arrivare all’ipotetica sforbiciata della tassazione agevolata a vantaggio dei lavoratori impatriati. Il testo è stato approvato solamente in esame preliminare: le commissioni competenti del Parlamento dovranno esaminarlo e poi saranno chiamate a esprimere un parere; nella fase successiva il decreto legislativo dovrebbe tornare in Consiglio dei ministri che a quel punto dovrebbe procedere con l’approvazione definitiva. Ma è proprio sulle possibili modifiche che si aprono infiniti dubbi: verrà introdotto un periodo transitorio fino al 31 dicembre 2023 o, magari, fissando la data al 30 giugno 2024? Oppure si abbandonerà la strada delle correzioni e si andrà avanti con il «pugno duro»? L’imperativo principale – trainato dal buonsenso – dovrebbe essere quello di scongiurare una sorta di effetto retroattivo, evitando dunque di penalizzare chi ha già programmato il rientro nel nostro Paese.

Nel question time di giovedì a Palazzo Madama è stata affrontata, tra le altre cose, la questione relativa al regime di detassazione per i lavoratori impatriati. Un tema tanto attuale quanto urgente: coloro che avevano già deciso di organizzarsi per tornare in Italia (convinti di poter contare sul regime fiscale agevolato) ora si trovano di fronte a una montagna che non permette di scrutare l’orizzonte. Non a caso il senatore Matteo Renzi, rivolgendosi al ministro Giancarlo Giorgetti, ha chiesto di fare luce sulle reali intenzioni del governo puntando l’attenzione sul fatto che sono migliaia le persone gettate nel buio del loro futuro: «Almeno per i prossimi anni non tocchi la legge sul rientro dei cervelli dall’estero, anche perché forse il cervello in fuga è quello di chi non si rende conto che ci sono tante famiglie che su questa vicenda sono disperate». Giorni fa Italia Viva ha lanciato una petizione, che ha già raggiunto quota 9.400 firme, per chiedere al presidente Giorgia Meloni di non mettere il bastone tra le ruote al rientro dei cervelli.

Dal suo canto Giorgetti ha spiegato che un intervento si è reso necessario per arginare delle anomalie, legate ad esempio a chi prende residenza al Sud per godere di una maggiore detrazione e poi non contribuisce allo sviluppo del Meridione andando a lavorare altrove. E ha assicurato che le modifiche del decreto legislativo che verrà portato in Parlamento avranno un regime agevolato «pari o addirittura migliore di quello praticato negli altri Paesi europei», eliminando allo stesso tempo le distorsioni denunciate. Italia Viva si è detta disponibile a collaborare per contrastare i fenomeni elusivi, senza però scaricare nel dimenticatoio chi ha già firmato i contratti partendo dal presupposto di poter godere dell’agevolazione fiscale.
Nelle ultime ore le opposizioni hanno alzato il tono della discussione in Aula, puntando il dito contro l’atteggiamento del governo e sollevando una questione di metodo. In sostanza i partiti al di fuori della maggioranza hanno indirizzato un messaggio di polemica al centrodestra: al di là degli annunci mediatici vanno rispettati i passaggi parlamentari, va osservato l’iter formale. Sferzate che si riferiscono in particolar modo alla conferenza stampa del presidente Meloni del 16 ottobre al termine del Consiglio dei ministri che ha varato la manovra.

Un appuntamento a cui però, tuonano dalle opposizioni, non è seguito l’invio del testo ufficiale tra discussioni interne e ripensamenti. Italia Viva ha scritto una lettera al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: nella missiva si afferma che il modo con cui si sta affrontando la stesura della Legge di Bilancio è «istituzionalmente indecente», aggiungendo che se non vi fosse un nuovo passaggio dal Consiglio dei Ministri «a nostro avviso saremmo in presenza di una gravissima violazione costituzionale e parlamentare». Stefano Patuanelli, capogruppo del Movimento 5 Stelle al Senato, ha paventato due scenari: «O il testo del 16 ottobre era stato approvato salvo intese e deve dunque tornare in Cdm oppure si trattava del testo ufficiale e allora ci chiediamo che fine abbia fatto». Sulla stessa linea Francesco Boccia, presidente dei senatori del Partito democratico, che ha sollecitato l’invio del documento nelle prossime ore: «Così non è più possibile lavorare in Parlamento». L’avvertimento è stato lanciato: o i testi della manovra e le relazioni tecniche arriveranno a stretto giro o si terranno audizioni in autonomia con i mondi che chiedono un’interlocuzione. Sono solo i primi segnali di un passaggio parlamentare che si prospetta infuocato.