Ho grande stima per il neo Ministro della Giustizia, Carlo Nordio. Perché è un magistrato competente e coraggioso. Che voglio credere rappresenti la maggioranza silenziosa dei magistrati italiani. Sostiene da decenni le sue tesi a favore di una giustizia giusta. Da pubblico ministero ha sempre denunciato lo strapotere delle Procure della Repubblica. Per garantire la sua vera indipendenza, di magistrato e di colto uomo di legge, conoscendo bene dall’interno il “sistema” denunciato da Palamara, ha scelto di rimanere sostituto procuratore della Repubblica a vita. Non è infatti mai diventato capo di una procura. Perché Palamara ha raccontato, anche a chi non aveva orecchie per sentire, quali sono i meccanismi che consentono di diventarlo.
Ma la tanto decantata – da parte dei profeti della “cultura della giurisdizione” – indipendenza del magistrato, anche inquirente, per Nordio deve essere non solo indipendenza dagli interessi della casta. Ma soprattutto indipendenza dalle proprie ambizioni personali. Di carriera e di potere. Che spesso, anche tra i magistrati, possono essere sfrenate. E Nordio, pur avendo tutte le qualità per essere un ottimo procuratore capo, ha scelto di non scendere a compromessi con i mandarini delle correnti. Rifiutando di svendere la sua indipendenza. Intellettuale, prima di tutto. Ed io ne sono stato personalmente testimone. Avendo raccolto alcuni suoi racconti sulla giustizia italiana, antesignani delle confessioni-denuncia di Palamara, una ventina di anni fa.
Racconti che mi fece a Bruxelles, mentre lo accompagnavo all’aeroporto dopo una riunione di coordinamento investigativo internazionale all’Olaf, l’Ufficio Europeo per la Lotta alla Frode, su una sua indagine su casi di frode ai danni del bilancio Ue. Sosteneva le sue stesse tesi di oggi sulle cause ed i possibili rimedi della malagiustizia italiana. Lo faceva con la stessa serenità, eleganza e pacatezza che conosciamo. Ma lo faceva in un momento storico in cui, quello che mi diceva, poteva farlo rischiare di essere arso vivo dai talebani del giustizialismo mediatico. E soprattutto di alcuni suoi colleghi. Che io ero ben abituato a vedere venire a Bruxelles alla ricerca di una sponda europea ai loro teoremi mediatico-giudiziari. Al grido di “arrestiamoli tutti” perché, tranne noi, sono tutti corrotti. Grido che Francesco Cossiga saggiamente previde si sarebbe presto trasformato in un “arrestiamoci tutti”.
Con gravi danni per le libertà individuali e per la certezza del diritto, oltre che per l’immagine dell’Italia in Europa e nel mondo. E ad unico vantaggio dei veri delinquenti. Che come noto non mancano in Italia, ma che nell’incertezza del diritto sguazzano a loro agio. Confusi assieme a migliaia di veri innocenti trasformati in presunti colpevoli dalla cultura manettara degli ultimi decenni. Vittime di un “sistema” dal quale solo chi ha davvero qualcosa da farsi perdonare può trarne vantaggio. Non certo le persone per bene. E come è andata a finire, grazie all’opera dei talebani di un sistema di potere fuori da ogni controllo, democratico e di legalità, è oggi sotto gli occhi di tutti. Anche del Codacons. Che, quale principale associazione a tutela dei cittadini-consumatori, da anni si batte per una giustizia giusta.
Le ragioni della discesa in campo del Codacons nella battaglia referendaria sulla giustizia le avevamo raccontate sul Riformista a maggio (Il Codacons scende in campo nella battaglia referendaria sulla giustizia). Intervistando il suo presidente, Carlo Rienzi. Che abbiamo voluto intervistare nuovamente oggi che un magistrato competente, equilibrato e davvero indipendente, come Nordio, è a capo dell’amministrazione della giustizia italiana.
Presidente Rienzi, cosa pensa il codacons del nuov ministro della giustizia Carlo Nordio?
Nordio è sempre stato un magistrato in gamba. Il fatto che al referendum che comprendeva anche la separazione delle carriere disse sì, dimostra che è persona non di casta ma che guarda le cose in modo obiettivo. Oggi il Codacons ha in corso un processo davanti al Consiglio di Stato contro le ruberie legate al Mose, e ciò proprio grazie al lavoro di Nordio, nella famosa inchiesta penale che scoperchiò un letamaio di corruzioni.
E cosa pensa della sua proposta di abolire il reato di abuso di ufficio?
Che come spesso capita si perde di vista il vero problema. Nel nostro paese non esistono i controlli… Anni fa esisteva una struttura che nelle Asl controllava che la sanità funzionasse: fu abolita. I poteri di controllo della Corte dei Conti sono stati svuotati, o quasi. E certo anche questo non va bene. Ma il reato di abuso di atti di ufficio così com’è non serve a niente. Chi ha mai visto una condanna per il 323… (n.d.r., art. 323 c.p.)?
Quali vantaggi e quali svantaggi da questa proposta per i cittadini consumatori?
Serve agire sui controlli interni. Ad esempio, creare nelle prefetture degli uffici appositi dove i cittadini possono denunciare eventuali malefatte dei sindaci, e ottenere veloci inchieste interne. Da rendere poi pubbliche e sottoposte al giudizio di chiunque voglia verificare l’operato degli amministratori locali. E soprattutto riformare il reato di omissione di atti di ufficio che è di fatto inapplicabile: fare in modo che il pubblico ufficiale, sindaco in testa, se un cittadino presenta una diffida in base alla legge 241 sulla trasparenza abbia una risposta in tempi certi e esplicita. Non importa se positiva o negativa ma una risposta. Solo così si abbattono i troppi muri di gomma e si possono rendere più attenti e responsabili gli amministratori pubblici.
Il codacons negli ultimi tempi è stato al centro di diverse vertenze giudiziarie, sia come inquisito che come parte lesa, per presunte diffamazioni a mezzo stampa. Lei ha spesso denunciato la contraddittorietà negli approcci in materia da parte delle diverse procure della repubblica. Ci può spiegare il problema?
La diffamazione è un reato assurdo se resta generico come é adesso. Perché colpisce le più essenziali libertà costituzionali, come il diritto di cronaca e di critica. Il sale della democrazia partecipativa. Va sicuramente riformato. Il cittadino oggi non sa cosa può o non può dire. Noi ci siamo coinvolti in pieno e ne faremo oggetto di una battaglia sociale e di democrazia. Questo perché noi crediamo fortemente nella giustizia. E devo dire che – non per fortuna – le precedenti aggressioni che in ogni tribunale ci hanno riservato giganti come Della Valle (Tod’s), Cugia di Sant’Orsola (la famosa questione dei soldi della Siae alla Lehman), hanno sempre riconosciuto il nostro sacrosanto e doveroso diritto di critica.
Pensa esista un rischio, in italia, per il diritto di cronaca e quello di critica, oltre che per l’applicazione dell’articolo 21 della costituzione?
Esiste un rischio fortissimo. In concreto, so che sembrerà strano, una Pm romana, Antonia Giammaria, già vice capo gabinetto di un ex ministro che ce l’ha a morte con il Codacons, tenta di chiudere la bocca a una onlus ottenendo di trascinarla in un dibattimento con la infamante accusa di essere un ente che lede la immagine di due innocenti influencers. Ma lo fa senza nemmeno sentire l’accusato e – cosa più grave – con due affermazioni non vere rese ai suoi capi. Ovvio che il tribunale annulla subito il suo operato. Ma quando il fascicolo torna all’ufficio diretto dal procuratore Lo Voi questo, attraverso i suoi pubblici ministeri Marcello Cascini e Caterina Sgró, fa ripiombare il cittadino nella più assoluta incertezza del diritto. Infatti, mentre la collega della stanza a fianco, Caterina Sgró, assolve una opinionista che ha definito quei due influencers “perfetti idioti” , il pm Cascini propone di mandare in galera il Codacons per avere definito quegli stessi Ferragnez “ciucci”… Ma non basta! Stessa incertezza del diritto incombe tra uffici di procura di diverse città. Mentre il Pm di Milano assolve il famoso rapper, nonostante avesse mandato “affanculo” il Codacons davanti a 13 milioni di followers, ritenendola normale “dialettica”, al contrario il Pm romano propone la galera per i dirigenti Codacons che hanno osato giudicare quello stesso rapper – in un comunicato stampa e nell’esercizio del sacrosanto diritto di critica – “ignorante”! Ecco come é finita la certezza del diritto!
Cosa chiede il codacons al nuovo ministro della giustizia per risolvere questi problemi?
Una norma che imponga ai capi degli uffici giudiziari di coordinare tante teste, che ognuna pensa e interpreta le norme a modo suo, creando un minimo di uniformità di giudizio che consenta ai cittadini di sapere ciò che è consentito e ciò che è vietato. E soprattutto dare più forza al diritto di critica e di cronaca, obbligando i giudici a motivare sempre su queste importantissime esimenti. Che sono baluardo essenziale della libertà di espressione del pensiero.
Quali saranno le prossime mosse del codacons a difesa del diritto di critica?
Abbiamo chiesto un incontro col ministro Nordio, proprio per mantenere alto il livello di tutela di tali essenziali diritti. Se ci riceverà, sentiremo cosa lui propone per risolvere il problema. Intanto proseguiremo a denunciare al Csm gli uffici giudiziari che rendono il diritto e i doveri una opzione variabile e incerta per i cittadini. Sperando che i capi degli uffici delle procure dimostrino sensibilità a questo grave problema e non siano, come purtroppo è stato finora, almeno a Roma, muri di gomma.