L'analisi
I riflettori si spengono sugli Houthi, ma l’Italia è un ponte proiettato verso l’Africa e i ribelli yemeniti restano una minaccia
L’attacco israeliano al porto yemenita di Hodeidah ha ridato centralità alla questione dei ribelli Houthi che da quasi un anno tengono sotto scacco l’economia marittima mondiale con assalti alle navi dirette verso il Canale di Suez, nella zona fra il golfo di Aden e lo stretto di Bab el-Mandeb. Se è ancora presto per valutare le conseguenze del colpo sferrato da Israele, e non è ancora chiaro cosa comporterà la recente elezione del nuovo Presidente Massoud Pezeshkian, considerato un riformista, nell’accertato supporto dell’Iran all’attività degli insorti, è invece certo che la pressione su quel cruciale specchio di mare non accenna a smettere nonostante possa apparire il contrario per una diminuita attenzione mediatica. Infatti, secondo il Dipartimento Studi del Congresso degli Stati Uniti, fra novembre 2023 e inizio luglio 2024 si sono verificati più di 140 attacchi alle imbarcazioni transitanti.
Il tema è geopoliticamente cruciale, al punto da trovare ampio spazio nella riunione del G7 dei Trasporti tenutosi a Milano lo scorso aprile. In quell’occasione, il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, ha dichiarato che l’attuale situazione di instabilità nel Mar Rosso ha comportato un incremento del 130% dei passaggi attorno all’Africa, causando l’aumento esponenziale dei tempi di navigazione, dei prezzi per il trasporto container nonché delle emissioni climalteranti del trasporto marittimo globale. Risultano quindi cruciali le missioni di difesa schierate dagli Stati Uniti (Prosperity guardian, iniziata a dicembre 2023) e dall’Unione Europea (Aspides, in forza da febbraio), di cui quest’ultima ha come ammiraglia la fregata italiana Virginio Fasan oltre ad altre due unità. Dunque, delle nove navi impiegate dalla missione europea ben tre battono bandiera tricolore. Ciò fotografa l’importanza che il Mar Rosso ha per il nostro Paese. Vi è infatti un lungo filo rosso che unisce tutte le politiche infrastrutturali degli ultimi anni, indipendentemente dal colore dei governi: l’idea di un’Italia come “piattaforma logistica” nel Mediterraneo, un lungo molo portuale lanciato verso l’Africa e il resto del mondo attraverso Suez.
Un concetto supportato anche dall’Unione Europea con la rete trans-europee di trasporto (TEN-T), con quattro dei nove corridoi che attraversano lo Stivale. Lungo di essi, si è lavorato per sviluppare infrastrutture stradali, ferroviarie e portuali con un solo obiettivo: sottrarre traffi co ai grandi porti del Nord Europa ed accorciare così i tempi della fi liera logistica mondiale. Il progetto simbolo di questa visione è forse il Terzo Valico, che collegherà al resto del continente il principale porto d’Italia, Genova: 9,4 miliardi di Euro. Scalo che verrà potenziato con la nuova diga foranea, lavori PNRR da 950 milioni. In tema di collegamenti transfrontalieri verso il Nord Europa, la TAV Torino-Lione costerà 8,3 miliardi di cui quasi 3 di competenza italiana, mentre la nuova galleria del Brennero è valutata in 10,5 miliardi divisi con l’Austria. La visione di un Paese come molo logistico parte però da Sud, dove il divario infrastrutturale è più netto: per servire il principale porto container, Gioia Tauro, si potenzierà la ferrovia da Salerno a Reggio Calabria, il cui primo tratto costerà 1,8 miliardi. Napoli e Bari invece, poste sul corridoio europeo Mediterraneo, saranno unite con l’alta velocità dal 2026 grazie a quasi 6 miliardi di Euro. In questa non esaustiva panoramica va citata l’opera simbolo che ha avuto spazio anche nella riunione del G7 dei Trasporti: il Ponte sullo Stretto, che con lavori accessori è valutato 13,5 miliardi. Un elenco che potrebbe continuare a lungo, ma che è messo a rischio dall’instabilità delle rotte marittime. Motivo per il quale è necessario che l’Italia sia in prima linea per cercare di mitigare gli effetti di crisi geopolitiche sempre più frequenti: l’unico modo per tutelare e massimizzare gli ingenti investimenti in infrastrutture, indipendentemente dai colori politici.
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