Il testo della riforma dell’ordinamento giudiziario ha subito nel tempo numerose modifiche, come è anche naturale attendersi in un percorso così accidentato e con una maggioranza così irrimediabilmente divisa proprio sulle idee di fondo della organizzazione e della amministrazione della giustizia. Al centro della riforma, come sappiamo, il sistema elettorale del Csm. Per noi penalisti si tratta di un vizio originario, bastevole a farci dire dal primo giorno che il percorso di questa riforma era anni luce lontano dalle questioni davvero cruciali che occorre invece affrontare. È pura illusione pensare che un sistema elettorale piuttosto che un altro possa restituire credibilità e forza alla magistratura italiana, considerata la gravità della sua crisi, che è crisi di credibilità della funzione agli occhi del cittadino.

E perciò dal primo giorno indicavamo gli ambiti di intervento invece indispensabili: rafforzamento della terzietà del giudice; responsabilizzazione professionale del magistrato, attraverso giudizi di professionalità finalmente rigorosi e legati innanzitutto a ciò che il singolo magistrato ha fatto nella sua quotidiana attività; eliminazione di ogni assurda commistione tra potere giudiziario e potere esecutivo, ponendo fine allo spostamento di magistrati in ruoli amministrativi nel Governo, che dovrebbero essere naturalmente riservati a funzionari di carriera. Anche il tema delle porte girevoli non ci ha mai scaldato il cuore, non fosse che per la marginale sua rilevanza in termini di numeri.

Dobbiamo pur riconoscere che la nostra forte (ed assolutamente isolata) insistenza, politica e mediatica, su questi tre temi ha in qualche modo fatto breccia nelle attenzioni del Governo e del Parlamento. E così sono comparse successive versioni della legge delega che hanno progressivamente incluso interventi sui fuori ruolo, poi sui criteri delle valutazioni professionali quadriennali, ed anche sulla accentuazione della separazione delle funzioni. Queste novità sono a nostro avviso ancora lontane dalle migliori e più efficaci capacità di incidere in modo risolutivo su quelle questioni, ma almeno quei tre temi sono finalmente presenti nel corpo della legge delega. E non è certo un caso che siano esattamente quelli i temi che hanno scatenato la furibonda reazione della magistratura associata, che aveva mantenuto un atteggiamento molto più controllato, fino a quando la riforma si risolveva grossomodo in alchimie elettoralistiche del Csm. Ora, credetemi: quelle novità, prese in sé sono assai poco rivoluzionarie. Siamo ancora ben al di sotto del minimo necessario per una reale riforma della magistratura italiana, che le restituisca forza, credibilità, affidabilità, autorevolezza.

Eppure è bastato sfiorare quei temi, per scatenare una reazione che non andava in scena da molti lustri, cioè dai tempi dei governi Berlusconi. Ecco allora che bisogna chiedersi perché. Quale può essere la ragione di una reazione così sopra le righe, che fa per esempio gridare alla “schedatura” sol perché il fascicolo personale del magistrato, che già esiste da sempre, verrebbe implementato con i provvedimenti che egli ha adottato nel corso del quadriennio; o fa gridare alla separazione delle carriere (magari!) sol perché si riducono da quattro a due le già ridotte possibilità, in carriera, di passare dalla requirente alla giudicante. Questa è roba che costituisce certo un primo passo avanti verso un ragionamento riformatore di qualche sensatezza, ma è ancora lontanissima dal diventarlo sul serio, e nessuno lo sa meglio di lor signori magistrati.

La cosa che invece li sta facendo impazzire è che Parlamento e Governo, per la prima volta, seppur timidamente e tra mille distinguo, sembrano voler recuperare spazio e prerogative che la Costituzione gli assegna, e che il potere giudiziario ha loro espropriato da trent’anni a questa parte. L’idea che li fa impazzire è che il legislatore pretenda di legiferare ed il Governo di governare sulla organizzazione della macchina giudiziaria e della magistratura, senza il previo consenso della magistratura stessa. L’idea che Governo e Parlamento pensino di potersi assumere la responsabilità politica di disegnare un ordinamento giudiziario nella pienezza della propria autonomia costituzionale, e non sotto dettatura delle toghe, è vissuto dalla magistratura italiana come un sacrilegio, un atto di insubordinazione inconcepibile, una sovversione dell’assetto squilibrato (in favore del giudiziario) dei poteri dello Stato come avveratosi in questi ultimi trent’anni.

Questa è la vera partita in gioco oggi. Io non so come andrà a finire, visto che il percorso parlamentare è tutt’altro che concluso. Ma se davvero lo scontro sarà portato, come sembra, ai suoi estremi, occorre che i liberali di questo Paese e tutti coloro che abbiano a cuore il ripristino della divisione e del rigoroso equilibrio tra poteri dello Stato comprendano con lucidità da che parte stare. Non facciamoci distrarre dalla modestia dei contenuti di quella riforma, che pure ribadiamo con forza. Ora la partita che si è aperta con la minaccia dello sciopero dei magistrati è un’altra, molto ma molto più importante, ed occorre giocarla e vincerla.

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