La riforma elettorale del Csm
Riforma del Csm inefficace, le correnti continueranno a comandare
È stata pubblicata la relazione della Commissione ministeriale, costituita dalla ministra Cartabia e presieduta dal prof. Massimo Luciani, incaricata di predisporre le proposte di riforma dell’ordinamento giudiziario e del Consiglio superiore della magistratura (Csm). I suoi contenuti erano stati già oggetto di sommaria discussione nell’incontro svoltosi la settimana scorsa presso la commissione Giustizia della Camera dei deputati tra il ministro stesso e gli esponenti dei partiti di maggioranza.
Tra queste proposte vi è anche quella di integrale sostituzione del sistema elettorale del Csm, trasfuso nel disegno di legge n. 2681 trasmesso alla Camera dei deputati dal precedente governo Conte e divenuto testo base per i lavori in corso nella Commissione giustizia della Camera: sistema elettorale che, se approvato, cristallizzerebbe la deteriore situazione attuale e renderebbe ancor più difficile il rinnovamento interno alla magistratura. Il sistema elettorale verso il quale si è orientata la Commissione Luciani è quello proporzionale con voto singolo trasferibile, oggetto a dire il vero del disegno di legge n. 2536, presentato alla Camera dei deputati dall’on. Costa (Azione) allo scopo di «ridimensionare le distorsioni legate al peso preponderante assunto dalle diverse correnti non solo nel momento per così dire genetico, cioè in sede di individuazione dei candidati destinati a concorrere per l’elezione, ma anche successivamente, nel quotidiano esercizio da parte dell’organo delle proprie attribuzioni costituzionali».
È opportuno sottolineare che, secondo lo stesso parlamentare, questo sistema elettorale non elimina il condizionamento di fatto esercitato dalle correnti sul Csm e sulle sue decisioni, né incide sulle conseguenti “distorsioni”, ma le riduce soltanto. Occorre quindi chiedersi se sia idoneo a risolvere la grave “degenerazione” dell’apparato giudiziario derivante dalla loro perniciosa influenza sul suo funzionamento. L’intento di “limitare”, e non di recidere alla radice, l’influenza delle correnti è recepito anche dalla Commissione Luciani e giustificato con l’esigenza di assicurare il massimo pluralismo della competizione elettorale, realizzato integrando quello associativo o correntizio con quello individuale dei singoli magistrati, ottenuto favorendo la partecipazione alla competizione elettorale del maggior numero possibile di candidature.
La motivazione appare in effetti molto debole. Da un lato è infatti noto che da due decenni almeno le correnti non hanno nulla da spartire con il pluralismo di idee o culturale, essendosi trasformate in centri di potere clientelare e di carriera, che attraverso il controllo del Csm e dei suoi poteri di attribuzione degli uffici direttivi e di irrogare le sanzioni disciplinari, controllano di fatto tutto l’apparato giudiziario, condizionandone nel bene e nel male tutto il funzionamento. Questo tipo di pluralismo non può considerarsi positivo nell’ordinamento costituzionale ed è comunque opinione diffusa che non possa essere mantenuto, ma che debba essere estirpato.
In secondo luogo l’ampliamento del pluralismo culturale non si realizza rendendo più facile la presentazione delle candidature, ma assicurando la presenza degli orientamenti minoritari all’interno del Csm: cosa che il sistema elettorale suggerito dalla Commissione Luciani non sembra consentire. Questa Commissione suggerisce di aumentare la composizione del Csm portando a venti i componenti togati e a dieci quelli di nomina parlamentare e di suddividere il territorio nazionale in cinque circoscrizioni: una relativa ai magistrati di legittimità, cui sarebbero assegnati due seggi; una riservata alla magistratura requirente e tre a quella giudicante. Il numero dei seggi attribuito a queste ultime circoscrizioni non è indicato, ma dovrebbero essere quattro o cinque ciascuna.
Ogni elettore esprime più preferenze (non meno di tre, con la sola eccezione della circoscrizione di legittimità cui sono assegnati solo due seggi), ma preferibilmente in numero pari a quello dei seggi attribuiti alla circoscrizione, nei confronti di candidati indicati in ordine decrescente di gradimento. Se il primo candidato ottiene il quoziente – cioè il numero di voti necessari per l’elezione, risultante tendenzialmente dalla divisione del numero complessivo degli elettori del collegio per il numero dei seggi da assegnare – e viene eletto, i voti in eccesso, divenuti superflui al fine della sua elezione, vengono trasferiti, con un sistema abbastanza complesso ancora da definire, al candidato al secondo posto o se già eletto a quello successivo, fino all’esaurimento dei seggi.
Questo sistema elettorale, adottato in pochissimi Paesi prevalentemente anglosassoni (Irlanda, Malta, Australia), è caratterizzato dal divieto di presentazione di liste di partito. Tende quindi a favorire la presentazione di candidature “spontanee” e indipendenti e a ridurre l’influenza dei partiti sugli eletti. Gli elettori, infatti, votano per i candidati e non per le liste, e possono scegliere anche candidati che hanno diversi orientamenti politici. Ma l’influenza dei partiti, nella specie delle correnti, sugli eletti non viene affatto esclusa. In via generale, infatti, ogni sistema elettorale nel rappresentare in un organo ristretto il corpo sociale sottostante ne recepisce e ribadisce le caratteristiche. La magistratura italiana è organizzata in associazioni diverse, presenti in tutti i distretti giudiziari, che come in passato continueranno a condizionare in modo informale il procedimento elettorale per consentire l’elezione dei propri candidati. Il divieto di presentazione delle liste non è sufficiente ad impedirlo, perché può essere facilmente aggirato. Nulla infatti impedisce alle correnti di selezionare i propri candidati, di pubblicizzarne i nominativi nelle diverse sedi giudiziarie e di invitare i propri iscritti e in generale tutti i magistrati a votarli. Non per caso sia la Commissione Luciani, sia l’on. Costa nella relazione introduttiva al ddl n.2536, precisano chiaramente che questo sistema elettorale limita soltanto, senza annullarla, l’influenza delle correnti sul funzionamento del Csm.
Inefficace allo scopo di incentivare la presentazione delle candidature appare ancora la prospettata riduzione del numero delle firme necessarie, perché ciò che più conta a questo scopo è la prospettiva di conseguire l’elezione, di cui solo le correnti oggi possono rendere più o meno attendibile la realizzazione. La possibilità che candidati “indipendenti”, quindi non iscritti a una corrente, possano essere eletti appare infatti più teorica che reale, considerate le dimensioni delle circoscrizioni, a meno che non si tratti di personalità di acclarata notorietà. Queste possono essere certamente avvantaggiate dalla possibilità data al singolo elettore di scegliere, sia pure graduati tra loro, più candidati contemporaneamente. Occorre però chiedersi se sia più conveniente per loro affrontare una competizione elettorale confidando soltanto sulla propria notorietà, ma correndo al contempo il rischio di un insuccesso, o non piuttosto collegarsi a una corrente, nell’interesse oggettivo di entrambe le parti.
Bisogna ancora domandarsi se l’elezione di un candidato indipendente sarebbe la regola o una semplice eccezione, in quanto tale poco rilevante rispetto al fine anche soltanto di limitare l’influenza delle correnti, tenuto anche presente che l’elezione degli altri candidati dipenderà principalmente dall’appoggio ottenuto dalla corrente di appartenenza, che ne condizionerà poi le decisioni. È invece pienamente condivisibile la conclusione della Commissione, che «non può fare a meno di richiamare l’attenzione su ciò che nessun intervento riformatore può avere successo senza un profondo rinnovamento culturale, del quale devono essere partecipi la politica, i mezzi di informazione, l’opinione pubblica e – soprattutto – la stessa magistratura. Non spetta alla Commissione indicarne la direzione, sebbene essa emerga con chiarezza già dal nitido disegno costituzionale della magistratura e dei suoi rapporti con gli altri poteri dello Stato, che deve costituire l’ineludibile paradigma di riferimento».
Questo profondo rinnovamento culturale non può essere affidato soltanto allo spontaneismo dei singoli individui, ma deve essere inserito in un complesso di regole, in un “sistema normativo” fondato sui valori costituzionali che ne impedisca la violazione. Solo in tal modo potrà essere superata la crisi in cui si dibatte la giustizia. Ma non sembra che vi sia ancora la consapevolezza sufficiente a livello politico-parlamentare per adottare le misure necessarie.
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