Quattro condizioni per andare avanti: la riforma del processo penale deve essere approvata almeno alla Camera entro la prima settimana di agosto; non deve essere “snaturata” nel senso che l’obiettivo finale è la riduzione del 25% dei tempi del processo; il testo deve essere approvato con la stessa maggioranza che lo ha approvato in Consiglio dei ministri. Che poi è la maggioranza che ha approvato il Pnrr, i suoi vincoli e he potrà distribuire sui territori i primi 25 miliardi deliberati. Ne consegue che se i 5 Stelle, come qualcuno di loro ha fatto circolare nell’assemblea con Conte martedì sera, ha intenzione di uscire dalla maggioranza “perché tanto Draghi avrebbe comunque la maggioranza”, a quel punto è crisi. Nonostante il semestre bianco. E con tutte le conseguenze del caso.
Da Palazzo Chigi filtrano repliche gelide e quasi perentorie rispetto alla provocazione di 917 emendamenti (su 1631 totali) firmati 5 Stelle depositati in Commissione Giustizia al testo di riforma del processo penale che ancora porta il nome dell’ex ministro Bonafede e che l’attuale ministra Cartabia ha subemendato raddrizzando, e di parecchio, la piega giustizialista e manettara. A cominciare da quella prescrizione fine processo mai in vigore, è bene ricordarlo, da gennaio 2020. E senza il necessario e vitale contrappeso di un processo che si deve consumare in un arco di tempo determinato, circa sei-sette anni. La Costituzione la chiama “ragionevole durata del processo”. (art.111). Un principio quasi mai rispettato in Italia. E che da qualche anno è tra i motivi per cui il nostro sistema paese non è considerato attrattivo all’estero.
Le “condizioni” di palazzo Chigi vengono veicolate ai vari gruppi parlamentari, a cominciare dai 5 Stelle per le vie brevi, telefonate, messaggi, consigli non richiesti. Il tutto trova la necessaria sintesi in una parola che tutti ieri alla Camera pronunciavano a bassa voce: “Mediazione necessaria”. Dopo trent’anni di tentativi. La presenza di Draghi a palazzo Chigi è l’unica condizione che fa essere questa cosa possibile. Anzi, probabile. È stata una giornata di riunioni informali e spesso a distanza. Conte è stato subito messo in minoranza: lunedì nell’incontro con Draghi aveva lasciato intendere che sarebbero arrivate proposte accettabili e digeribili; il giorno dopo sono invece arrivati emendamenti soppressivi della riforma Cartabia. Alla faccia dell’accettabile e del digeribile. Ieri si è confrontato con i suoi, a cominciare da Bonafede nel tentativo di farlo ragionare.
Il Movimento era e resta spaccato nonostante l’arrivo dell’avvocato del popolo: c’è chi spinge verso l’uscita dal governo (ma non la fine della legislatura) e chi invece, a cominciare dai ministri che l’hanno votato in Consiglio dei ministri quasi due settimane fa, lavora per la mediazione. Bazoli e Verini per il Pd vanno indicando la soluzione: «I nostri 19 emendamenti salvano celerità e processi». Lucia Annibali, capogruppo di Italia viva, avverte: «Se si cambia qualcosa su richiesta di un gruppo, è chiaro che questo deve poi avvenire in tutte le direzioni». Il fatto è che se M5s ha depositato 917 emendamenti, Alternativa c’è, gli ex 5 Stelle, ne hanno presentati 403, Forza Italia 120, Italia viva 65 e Fdi, l’unico vero partito all’opposizione, 39 Enrico Costa (Azione) che vorrebbe annullare del tutto la riforma Bonafede. Una babele che rischia di trasformare il semestre bianco (che inizia il 3 agosto) in una corrida. Ecco perché Draghi vuole blindare la riforma, e approvarla alla Camera, prima di quella data.
Una prima mediazione è stata cercata nel pomeriggio nell’ufficio di presidenza della Commissione Giustizia che doveva cercare di mettere un po’ di ordine sui tempi e sugli emendamenti. La calendarizzazione in aula è stata rimessa alla capigruppo. Esclusa comunque la prevista data del 23 luglio. In base all’arrivo in aula sarà deciso il lavoro preliminare sugli emendamenti. Circa i contenuti, si lavora sulla improcedibilità del processo e per tutti i tipi di reati (dopo tre anni invece che due in Appello; dopo 18 mesi invece che dodici in Cassazione). Ma si lavora anche sull’entrata in vigore della norma “non prima del 2024”, in modo di dar tempo all’ufficio del processo di essere funzionante e ai rinforzi (i 16.500) di lavorare già a pieno regime.
Nel frattempo, nel pomeriggio, importanti indicazioni e precisazioni sono arrivate dalla ministra Cartabia. Ai tanti magistrati che in queste ore si affrettano nel dire la loro e nel denunciare “la morte del processo” e la “massima ingiustizia”, la Guardasigilli, rispondendo al question time alla Camera ha messo in fila un paio di utili concetti. Il primo: «Il governo è consapevole di quello che fa, è il primo a non volere ciò che voi paventate (l’improcedibilità di molti processi, ndr) e che nessuno vuole che accada in questo Paese ma vuole affrontare il tema della durata dei processi che è gravissimo».
La riforma del processo penale, tanto per cominciare, non riguarda solo la prescrizione e l’improcedibilità nel secondo e terzo grado, ma «l’intero processo penale, dalle indagini preliminari all’esecuzione della pena e prevede l’ingresso di 16.500 nuovi addetti tra magistrati e personale di cancelleria». Giusto per dire che le cose vanno considerate nel loro insieme e non per qualche bandierina utile alla propaganda. «Non è vero, ad esempio, che i procedimenti di mafia e terrorismo andranno in fumo. Per i reati più gravi è prevista la proroga». È verissimo, invece, che oltre il 50 dei reati si prescrive nella fase delle indagini preliminari e un altro 25% prima del giudizio di primo grado. Su tutto questo interviene la riforma Cartabia. Ma non la riforma Bonafede che si occupa della prescrizione dal primo grado in avanti.