Se qualcuno avesse ancora dei dubbi sulla necessità di riformare la giustizia, per fargli cambiare subito idea è sufficiente raccontare la storia del professore Guido Fanelli, luminare delle cure palliative e padre della legge 38 del 2010 sulla terapia del dolore. Insignito della medaglia d’argento al merito della sanità pubblica ed in passato consulente dei ministri della Salute Girolamo Sirchia e Ferruccio Fazio, l’8 maggio del 2017 Fanelli venne arrestato insieme ad una ventina fra medici e dirigenti di importanti case farmaceutiche nell’ambito dell’inchiesta ‘Pasimafi’ condotta dalla Procura di Parma e dal Nas carabinieri.
Il professore, all’epoca primario di anestesia nonché ordinario di rianimazione, per gli inquirenti parmigiani sarebbe stato al vertice di un vasto sistema di corruzione e riciclaggio.

Secondo l’allora procuratore Salvatore Rustico, che condusse l’indagine con il pm Giuseppe Amara, Fanelli con i colleghi aveva fatto mercimonio delle funzioni pubbliche per interessi privati con l’obiettivo di pilotare il business delle cure palliative e delle terapie del dolore. Al professore vennero contestati una cinquantina di capi d’imputazione, fra cui associazione a delinquere aggravata, corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, riciclaggio, truffa aggravata, abuso d’ufficio, peculato, comparaggio farmaceutico, trasferimento fraudolento di valori.

Dopo averlo intercettato senza soluzione di continuità per un paio di anni, gli inquirenti si erano quindi convinti che avesse messo in piedi una fitta rete di interessi, creando società di comodo per il riciclaggio del denaro illecito e che gli avevano permesso di acquistare immobili, auto di lusso ed anche uno yacht, il Pasimafi, che poi darà il nome all’indagine del Nas di Parma.
Il giorno stesso della retata, senza aver letto un atto, il ministro della Salute Beatrice Lorenzin fece diramare un comunicato in cui esprimeva “profondo sgomento perché si tratta di uno dei settori più delicati che riguardano il fine vita” e l’ospedale di Parma, per non essere da meno, decise di licenziare il professore in tronco, lasciando in mezzo alla strada dalla mattina alla sera le centinaia di pazienti che aveva in cura.

La chiusura delle indagini arrivò dopo un anno. Il gup di Parma, però, alla prima udienza si dichiarò subito incompetente mandando una parte del fascicolo a Lecco ed un’altra a La Spezia, dove i colleghi decisero di archiviare tutto qualche settimana senza neppure disporre il rinvio a giudizio.

Il procedimento si fondava, infatti, esclusivamente sulle intercettazioni telefoniche, molte delle quali tradotte anche in maniera erronea. “Le ipotesi accusatorie apparivano claudicanti” e nelle “informative riepilogative dei Nas non si rinvengono elementi tali a dimostrare la consapevolezza degli indagati nelle (ipotetiche) condotte illecite”, scrisse il gip di Lecco nell’archiviazione.
Nel caso di Fanelli – proseguì il gip – tale aspetto presenta indubbie difficoltà e incertezze, in quanto trattasi di un soggetto che, da un lato ricopre diversi incarichi pubblici, dall’altro lato, lo stesso soggetto riveste un ruolo di c.d. opinion leader nella materia della terapia del dolore e in tale veste, del tutto informale, svolge tutta una serie di attività, del tutto separate da quelle attinenti e collegate alla sua qualifica pubblica, strettamente privatistiche che nulla hanno a che fare con l’attività della pubblica funzione ricoperta”.

In altri termini, quando Fanelli presentava un lavoro scientifico o quando forniva consulenze su strategie di marketing farmaceutico non esercitava alcuna funzione pubblica.
“È come se un magistrato facesse, a pagamento, delle consulenze commerciali e giuridiche per uno studio legale del circondario dove presta servizio, ma senza occuparsi di aspetti relativi ai procedimenti allo stesso assegnati. Si tratterebbe di un illecito disciplinare, ma certamente non si potrebbe parlare di corruzione”, aggiunse a titolo di esempio il gip di Lecco.
Una circostanza, comunque, già nota al Nas di Parma ricordò il gip in quanto nell’informativa conclusiva erano stati elencati gli incarichi debitamente autorizzati svolti da Fanelli per le aziende private, definendoli appunto “incarichi extraistituzionali” che non avevano alcuna attinenza con le attività della Pubblica funzioneIl tribunale di Parma, in considerazione di ciò, dovette allora restituire circa 1,7 milioni di euro, tra denaro e beni, che erano stati sequestrati a Fanelli, tra cui lo yacht.

Finito in una bolla di sapone il procedimento sulla corruzione, ne è rimasto adesso in piedi a Parma uno su eventuali abusi concernenti i concorsi condotti dall’Azienda ospedaliera universitaria per l’assunzione di dirigenti medici dove Fanelli era in commissione.

La pm di Parma Paola Dal Monte, che ha ereditato il fascicolo dal collega Amara, trasferito nel frattempo a Modena, l’anno scorso aveva chiesto la trascrizione di alcune intercettazioni a carico di Fanelli. Il collegio, però, a marzo del 2022 si era pronunciato in maniera negativa in quanto si trattava di ascolti effettuati in procedimento diverso e dunque non utilizzabili. Visto il diniego, la pm, alla successiva udienza del 2 novembre, era pronta a chiedere l’archiviazione per Fanelli. Presi in contropiede i giudici optarono per un rinvio al quale ne sono poi seguiti altri due, il primo lo scorso febbraio ed il secondo a luglio. Il prossimo 13 ottobre, salvo nuovi rinvii, ci dovrebbe essere la prima udienza per l’audizione dei testimoni, dopo oltre sei anni dall’arresto e dieci dall’asserita commissione dei fatti con i reati ormai prescritti. Nel frattempo la carriera di Fanelli è stata però stroncata. Non resta che sperare in Carlo Nordio.