Non saremo certo noi ad opporci all’annuncio di una riforma della giustizia che ha come cardini la separazione delle carriere, lo sdoppiamento del CSM e il sorteggio per eleggere i giudici, l’istituzione di un’Alta Corte per esaminare i profili disciplinari di tutti i magistrati.
E nemmeno alzeremo il ditino per ricordare quello che nel ddl non c’è, o non c’è ancora. Per noi l’essenziale è che si sia squarciato un velo, che si sia rotto un tabù: la giustizia italiana può cambiare e può emanciparsi dal predominio della corporazione dei giudici.

Mettiamo solo qualche puntino sulle i. Per ora la riforma è un disegno di legge costituzionale. Prevede una doppia deliberazione da parte di ciascuna Camera, con un intervallo di almeno tre mesi tra la prima e la seconda votazione. In ogni seconda votazione, il disegno di legge deve essere approvato dalla metà più uno dei parlamentari.

Se non raggiunge la maggioranza qualificata dei due terzi in entrambe le Camere, viene pubblicato sì in Gazzetta Ufficiale; ma, entro tre mesi, un quinto dei membri di una Camera, 500.000 elettori o cinque Consigli regionali possono richiedere un referendum confermativo. Solo se questo non avviene, la legge costituzionale entra in vigore.

Tempi di questo percorso: non meno di un anno o due con una forte e solida maggioranza a sostegno, molto di più se c’è di mezzo il referendum. Sintesi: in questa legislatura la riforma della giustizia non la vedremo operativa.
Quindi lasciamo da parte la propaganda. Ok ai buoni propositi, ma da domani bisogna lavorare perché la riforma si faccia, non si sfilacci in Parlamento, non siano dilatati i tempi. Solo se e quando il risultato sarà portato a casa, potremo dire che colei che è a capo dei conservatori europei avrà sconfitto il principale fattore di conservazione dell’Italia contemporanea.