Il ddl del governo sul Csm
Riforma della giustizia timida, non indebolisce le correnti
Il disegno di legge governativo sulla giustizia rischia di essere scarsamente efficace. L’impressione è che il testo sia il frutto di un faticoso lavoro di mediazione, che, come talvolta accade, ha finito per scontare qualche eccessiva timidezza e per sacrificare l’esigenza principale di questo intervento normativo, che dovrebbe essere quella di realizzare un recupero di autorevolezza e di legittimazione della magistratura, dopo le note vicende che hanno caratterizzato il Csm.
È presto ovviamente per esprimere una valutazione definitiva, sia perché si tratta di un disegno di legge delega e quindi occorrerà attendere le modifiche parlamentari e, soprattutto, i futuri decreti legislativi, sia perché molte previsioni sono caratterizzate dalla possibilità di introdurre non meglio definite deroghe ed eccezioni, che bisogna vedere come verranno declinate. Quanto al problema della politicizzazione della magistratura, la sensazione è che ci si è concentrati sul dito e si è persa di vista la luna. Mi riferisco al tema delle porte girevoli, cioè al divieto per i magistrati che assumono incarichi elettivi o che lavorano come gabinettisti di ritornare a svolgere le funzioni magistratuali.
Nel merito non può certo scandalizzare che una norma imponga ai magistrati di svolgere esclusivamente l’attività giurisdizionale, ma la soluzione, nella parte in cui è riferita agli eletti, suscita qualche perplessità di ordine costituzionale, visto che la Costituzione prevede che chi è chiamato a svolgere funzioni pubbliche elettive ha diritto di conservare il suo posto di lavoro. Più a monte, non credo che il problema della politicizzazione della magistratura sia, almeno principalmente, quello dell’indipendenza esterna (problema che al più riguarda un numero contenuto di magistrati), bensì quello dell’indipendenza interna e, in particolare, delle degenerazioni del correntismo e del carrierismo. La questione principale, cioè, non è, o quantomeno non è solo, il rapporto tra i magistrati e gli organi parlamentari o di governo, ma soprattutto il rapporto tra i magistrati e quella sorta di associazioni partitiche, chiamate correnti, interne alla magistratura: correnti che hanno la forza di condizionare l’intera vita professionale di tutti i magistrati.
L’altro tema politicamente caldo sul quale il ddl interviene è il sistema elettorale della componente togata del Csm. Rispetto all’obiettivo di limitare il peso delle correnti, la proposta è molto deludente; anzi potrebbe addirittura risultare peggiorativa rispetto alla disciplina vigente. Anzitutto, non è stato previsto il sorteggio misto che, a mio avviso, rappresenterebbe, a costituzione vigente, l’unico sistema per indebolire il gioco correntizio. Inoltre, l’introduzione di un sistema in parte maggioritario (a carattere binominale) in parte proporzionale, con addirittura meccanismi di recupero proporzionale, si muove in una logica di riconoscimento giuridico e di consolidamento delle correnti.
Vero è, infatti, che è prevista la possibilità di una candidatura individuale, ma si tratta di un’ipotesi quasi di scuola, perché è evidente che il meccanismo del recupero proporzionale consente, anche attraverso meccanismi elusivi come le liste civetta, di beneficiare del meccanismo solo alle organizzazioni radicate nel territorio e, dunque, alle correnti. Invece, cioè, di combattere e, possibilmente, di smantellare il sistema correntizio, ci si è limitati a tenerlo in equilibrio tra le varie correnti. Infine, lascia perplessi la decisione di incrementare il numero dei componenti dell’organo, che già oggi potrebbe risultare ipertrofico.
Del tutto insufficienti, infine, in quanto meramente accennate e sostanzialmente ai margini dell’intervento normativo, risultano le altre misure introdotte dalla proposta governativa su aspetti fondamentali: ci si riferisce al tema delle funzioni del Csm (come quelle che riguardano il potere regolamentare o i pareri non richiesti agli organi politici) o alla questione del livello di discrezionalità delle scelte del Csm nelle procedure comparative o, ancora, al problema della separazione delle carriere o della responsabilità dei magistrati. Su questi ultimi aspetti potrebbero intervenire i referendum, ma è evidente che solo il legislatore potrebbe e dovrebbe sciogliere uno dei nodi istituzionali che è alla base dei fenomeni degenerativi della magistratura, che è quello della qualificazione del Csm come organo di indirizzo politico della magistratura o, come sembra più in linea con il modello costituzionale, come mero organo di alta amministrazione.
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