La riforma epocale della separazione delle carriere in magistratura, obiettivo politico solennemente dichiarato sin dalla campagna elettorale da questa maggioranza di Governo, e regolarmente annunciata come imminente un giorno sì e l’altro pure, ci rimanda inesorabilmente al poeta settecentesco Pietro Metastasio. Il quale, riferendosi al mito classico dell’Araba Fenice, scriveva con malinconico disincanto, “che vi sia ciascun lo dice/ dove sia nessun lo sa. Se tu sai dov’ha ricetto/ dove muore e torna in vita/ me l’addita e ti prometto/ di serbar la fedeltà”.

E sì che si poteva partire con il piede giusto, grazie allo splendido lavoro dei penalisti italiani, che già nel 2017 (ce lo ricorda in questo numero di PQM Beniamino Migliucci, allora Presidente dell’Unione Camere Penali Italiane) raccolsero le firme di più di 72mila cittadini a sostegno di una legge di iniziativa popolare di riforma costituzionale, rimasta a languire – e figuriamoci – nella legislatura dei governi Conte, ma servita su un piatto d’argento agli strombazzati propositi della maggioranza in questa nuova legislatura. Ed infatti i gruppi parlamentari di Lega e Forza Italia, cui si aggiunsero dall’opposizione anche Azione ed Italia Viva, fecero proprio quel testo e lo depositarono all’esordio della legislatura.

Ma colpì subito l’assenza dei parlamentari di FDI, cioè proprio del partito di maggioranza relativa, che per di più aveva espresso il Ministro di Giustizia Carlo Nordio, antico sostenitore della assoluta indispensabilità di quella riforma. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: il percorso parlamentare della legge di iniziativa popolare è di fatto abortito, anche a causa dei ripetuti annunci di un imminente disegno di legge del Governo, che è imminente da un paio di anni ormai, ma del quale non solo non abbiamo notizie, ma facciamo fatica ad immaginare chi sarebbero i materiali estensori. Per caso l’Ufficio legislativo del Ministero, tutto nelle salde mani di un esercito di pur autorevoli magistrati fuori ruolo? Si aggiunga a tutto ciò che, quanto a riforme costituzionali, il Governo e la maggioranza hanno senza equivoci chiarito l’assoluta priorità della riforma del c.d. premierato, e di quella leghista dell’autonomia differenziata.

Quindi dovremmo assistere entro fine legislatura al varo di ben tre riforme costituzionali, tra le quali quella della separazione sarebbe l’ultima. Della serie: oggi le comiche. Eppure, è questa la vera, grande riforma della giustizia della quale il Paese ha bisogno, come cerchiamo di spiegare in questo numero di PQM. Una riforma avversata da chi non ha mai digerito ed accettato il passaggio dal processo inquisitorio a quello accusatorio voluto nel 1988 da Giuliano Vassalli, e costituzionalmente blindato dalla riforma costituzionale dell’art. 111 nel 1999. Avversata da chi è perfettamente consapevole che la separazione ordinamentale e i due CSM depotenzierebbe in modo formidabile la influenza che indebitamente gli Uffici di Procura esercitano in particolare sui GIP e sui GUP, dunque nella fase cruciale e purtroppo in questo Paese decisiva delle indagini e delle misure cautelari, dell’esercizio dell’azione penale e del rinvio a giudizio. Avversata da chi agita strumentalmente lo spauracchio del PM alle dipendenze del Ministero di Giustizia, che la proposta in Parlamento invece espressamente esclude, avendo scelto il modello portoghese (carriere separate, PM indipendente). Avversata da chi vuole rimanere in compagnia di Turchia, Romania, Bulgaria, lontani da Paesi canaglia quali Portogallo, Spagna, Germania, Inghilterra, Stati Uniti, Canada, Australia, eccetera eccetera. Buona lettura

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