L’elenco dei magistrati, tutti pubblici ministeri, che si stanno stracciando le vesti in questi giorni contro le riforme volute dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, si è arricchito ieri di due nomi eccellenti: il procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo e l’ex procuratore facente funzioni di Genova Francesco Pinto. Entrambi di Magistratura democratica, la corrente di sinistra delle toghe, hanno deciso di schierarsi apertamente a favore del mantenimento del reato di abuso di ufficio e contro le modifiche restrittive che Nordio intende introdurre nella fattispecie del traffico di influenze illecite.

Solitamente molto riservati, il primo con una intervista pubblicata dal Domani, il secondo invece dal Fatto Quotidiano, hanno stroncato senza appello le modifiche del Guardasigilli. Le argomentazioni di Ielo, che coordina un pool di dodici magistrati che si occupa dei reati contro la pubblica amministrazione dal lontano 2016, sono apparse contraddittorie. Ad iniziare dall’incipit dell’intervista: “L’abuso d’ufficio funziona, cancellarlo è un errore, darà il via libera ai faccendieri”.

La realtà delle cose è l’opposto di ciò che afferma Ielo. Deve considerarsi, infatti, la difficoltà che incontra l’attività giudiziaria penale anche per fattispecie di reato di gran lunga meglio definite dell’abuso di ufficio, che dimostra esattamente il contrario di ciò che afferma Ielo, come risulta plasticamente dalle assoluzioni che la Procura di Roma e il pool pubblica amministrazione ha clamorosamente collezionato negli ultimi anni. L’elenco è sterminato. Vale la pena ricordare quella la recentissima del comandante generale dell’Arma dei carabinieri, il generale Tullio Del Sette, assolto in appello per il reato di rivelazione di segreti di ufficio contestatogli dallo stesso Ielo.

Prima era stato il turno di Marcella Contraffatto, ex segretaria di Piercamillo Davigo, accusata di aver diffuso i verbali sulla Loggia Ungheria, del capo di gabinetto della Regione Lazio Maurizio Venafro, e degli ultimi tre sindaci di Roma, Gianni Alemanno, Ignazio Marino e Virginia Raggi. Come dimenticare, poi, la super mediatica indagine “Mafia Capitale” che fece il giro del pianeta, trattata da Ielo in prima persona, che ha visto evaporare l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso? Sulla stessa lunghezza d’onda di Ielo, anche Pinto: “Il favoritismo diventa legale: siamo al ‘liberi tutti’ per i faccendieri”. Pinto nelle scorse settimane era balzato agli onori delle cronache per la ‘turbo archiviazione’, dopo aver compiuto a suo dire “un esame molto approfondito della questione”, dei colleghi di Firenze, cominciando dal procuratore aggiunto Luca Turco, che stanno indagando sulla Fondazione Open.

La vicenda è nota. A seguito di lunga controversia che ha registrato ben tre sentenze della Corte di Cassazione, l’ultima emessa lo scorso febbraio, venne sancito l’illegittimità, con obbligo immediato di restituzione a Marco Carrai, del materiale (mail e chat) che era stato sequestrato. Ciò, però, non sarebbe avvenuto perché Turco aveva inviato la predetta corrispondenza al Copasir e, inoltre, l’avrebbe utilizzata per richiedere un nuovo sequestro nel processo pendente davanti al Gup per gli asseriti illeciti finanziamenti della fondazione Open. Il Pm fiorentino lo aveva fatto prendendo spunto proprio dall’ultima sentenza della Cassazione che aveva sostenuto di non poter considerare questa prospettazione poiché “tale ipotesi (Open come articolazione di un partito, ndr) non era stata neppure formulata dalla pubblica accusa il cui vaglio sarebbe quindi precluso in questa sede”.

Turco, in altre parole, si è adoperato al fine di supportare questa nuova pista investigativa (Open come mero soggetto politico, ndr) valorizzando numerose informative della guardia di finanza depositate a partire dal 2019 e, soprattutto, le mail e chat sequestrate che conterrebbero, a suo giudizio, prove inconfutabili. Non può non apparire paradossale, allora, che il pubblico ministero voglia dare prova della sua tesi utilizzando il materiale del quale vuole ottenere il sequestro annullato, finora, dalla Cassazione. Servirebbe, quindi, maggiore cautela nelle critiche ai disegni di legge proposti da Nordio che si limitano soltanto a registrare il dato fallimentare che emerge dalle pronunce giudiziarie in materia di reati contro la pubblica amministrazione, in particolare dalla Procura più importante che è quella di Roma che negli ultimi anni ha registrato quasi sempre assoluzioni.

Una situazione che non potrebbe che migliorare a seguito dell’abrogazione dell’abuso di ufficio e delle modifiche al reato di traffico di influenze delle quali lo stesso Ielo, a ben riflettere, dovrebbe essere contento. Molto meglio i sindaci, anche del Pd, favorevoli all’abrogazione del reato, e un vecchio comunista come Fausto Bertinotti che, intervistato sempre ieri dal Foglio, ha saggiamente individuato in questo reato “una inutile e dannosa minaccia all’attività amministrativa”.

Paolo Pandolfini

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