Le due possibili deroghe
Riforma intercettazioni, dai limiti temporali all’uso strumentale dell’aggravante mafiosa: la legge tra svolta e scappatoia per pm
L’introduzione di un tetto alla durata delle operazioni di ascolto sarebbe una vera rivoluzione. Ma attenzione all’uso strumentale dell’aggravante mafiosa: può essere una scappatoia per i pm
Se sarà approvata la riforma di Pierantonio Zanettin di Forza Italia sui tempi delle intercettazioni, che approda domani nell’Aula del Senato, potremo dire che siamo finalmente davanti a una vera svolta di civiltà. Pur con le sue deroghe (ahimè) e vincoli sempre suscettibili di elusione, la riscrittura dell’articolo 267 del Codice di Procedura Penale (che fissa a 45 giorni il limite temporale massimo di intercettazioni durante le indagini preliminari) sarà una piccola preziosa rivoluzione. Innanzitutto perché elimina quella catena infinita di proroghe che consentiva ai pm, con l’approvazione del gip, con la sola indicazione di “sufficienti indizi”, cioè il nulla, dopo i primi 15 giorni, di sommarne altri 15, e poi ancora e ancora. Trasformando così la captazione e l’ascolto da strumento per le indagini a contenuto d’indagine per cercare, una volta individuato il “tipo d’autore”, l’eventuale reato.
Intercettazioni, la possibile rivoluzione firmata FI
Sarà la prima volta, se il provvedimento sarà approvato senza ulteriori peggioramenti (perché un piccolo arretramento c’è già stato), che nel nostro Codice di Procedura Penale sarà introdotto un tetto alla durata delle operazioni di ascolto. Una rivoluzione firmata Forza Italia. Due sono le possibili deroghe al principio base. La prima si verifica quando “l’assoluta indispensabilità delle operazioni per una durata superiore sia giustificata dall’emergere di elementi specifici e concreti, che devono essere oggetto di espressa motivazione”. Non basteranno quindi i “sufficienti indizi” di reato – concetto molto soggettivo e astratto – per poter superare i 45 giorni, ma veri nuovi fatti, i quali devono essere “specifici e concreti”, oltre che espressamente motivati. Vincoli precisi e stringenti che hanno già messo in allarme una parte della magistratura, che lamenta di non fare in tempo in un mese e mezzo a trovare i colpevoli dei reati. Si agitano anche quelli del Fatto quotidiano, con la solita ossessione grillina dei “colletti bianchi” e la voluttà di poter pubblicare le loro conversazioni private. Ma l’integrità del tetto massimo rimane garantita, nonostante questa prima deroga.
Le intercettazioni con il bollino antimafia…
I problemi nascono con la seconda, quella che lascia la situazione pre-esistente per i reati di criminalità organizzata. Senza nulla togliere alla sicura buonafede della relatrice Erika Stefani – la senatrice della Lega che ha voluto questa eccezione – dobbiamo invitare lei e gli atri senatori a dare un’occhiata a tutta la giurisprudenza degli ultimi anni nelle Regioni del Sud e alle decine di inchieste partite con la fanfara del bollino dell’Antimafia, con le corsie preferenziali anche in tema di intercettazioni, e poi finite con assoluzioni o comunque con lievi condanne per reati che nulla avevano a che vedere con la mafia. Ma non c’è bisogno di mettere il naso in casi di Calabria o Sicilia: sarebbe sufficiente fare due passi in Liguria e riportare la memoria allo scorso 7 maggio, giorno del blitz della Guardia di Finanza che avrà come risultato politico la caduta della Giunta di centrodestra e le elezioni regionali anticipate ai prossimi 27 e 28 ottobre. Quel giorno si è saputo che le indagini erano fondate su tre anni e mezzo di intercettazioni infinite, rese possibili proprio dal fatto che i magistrati – prima quelli di La Spezia e in seguito quelli di Genova – avevano contestato ad alcuni indagati l’aggravante di mafia.
A questo inquietante fatto è importante aggiungere anche i diversi interventi del ministro Nordio che – svelando trucchi e trucchetti con cui spesso si dilettano alcuni pubblici ministeri – ha rivelato l’esistenza di “fascicoli clonati” e “fascicoli virtuali”, inserendo tra questi ultimi proprio l’uso strumentale dell’aggravante mafiosa. Che, se rimane la deroga anche sui tempi delle intercettazioni, rischia di diventare una sorta di autorizzazione occulta ai pm a cercare la scappatoia che consenta loro di agire sempre in regime di proroga, e di conseguenza di tornare al vecchio regime scavalcando la riforma. Che fino a questo momento è arrivata all’Aula con il voto unanime della maggioranza e l’opposizione del solo Movimento 5 Stelle, poiché il Pd si è astenuto. Forse perché la norma contiene anche inasprimenti sulla possibilità di uso delle intercettazioni tra imputato e difensore.
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