Le riforme varate ieri dal Consiglio dei Ministri danno la misura esatta di quali siano il segno e la qualità della politica della giustizia di questo Governo e di questo Ministro. Un po’ di fumo negli occhi con la nebulosa introduzione dei test psico-attitudinali per i magistrati, mentre viene demolita, in ossequio ai perentori desiderata dell’A.N.M., la decisiva innovazione del fascicolo delle performance coraggiosamente introdotta dalla Riforma Cartabia. Partiamo dai test psico-attitudinali. Io non ho mai ben compreso, in verità, cosa esattamente questi test dovrebbero accertare.
La ragione per la quale vadano somministrati, chessò, ai poliziotti o ai piloti di aereo è immediatamente intuitiva; per le toghe un po’ meno, ed infatti nessuno dei suoi sostenitori ce ne spiega con precisione l’oggetto. Quale test sarebbe somministrato, e per accertare cosa, esattamente? Quali i parametri, quali gli esiti che dovrebbero risultare impeditivi della messa in ruolo per un concorrente che abbia vinto il concorso? Se proprio dobbiamo appassionarci al tema, verrebbe da dire che la somministrazione di un test psico-attitudinale potrebbe avere un senso, semmai, ad un certo punto della carriera, per esempio quando le performance professionali di quel magistrato fossero tali da far dubitare del suo equilibrio.
In ogni caso, si tratta di una riformetta incerta nei contenuti, discutibile negli obiettivi, inutilmente destinata a scatenare polemiche feroci e contenziosi infiniti, in cambio, diciamocelo, di un po’ di fuffa. Di enorme gravità è invece la scelta del Governo di svuotare di ogni significato la riforma che aveva introdotto il c.d. “fascicolo delle performance”. Detto più semplicemente, la riforma Cartabia aveva finalmente posto le basi per una valutazione effettiva della professionalità del singolo magistrato, e della meritevolezza del suo avanzare in carriera, fino ad oggi, come è noto, del tutto automatico. Si è obiettato che tale riforma si fondasse su un presupposto impossibile da realizzare, cioè la raccolta in un solo fascicolo di tutti i provvedimenti adottati da quel giudice, e dell’esito delle relative impugnazioni. Una obiezione invero sensata, ma che doveva e poteva essere affrontata e risolta.
Per esempio, limitando il fascicolo alle sole statistiche dell’attività del magistrato, in base alle quali poi eventualmente procedere ad approfondimenti. Se il magistrato Tizio si vede annullare in appello il 70% delle sue sentenze, o assolvere il 50% delle persone delle quali ha chiesto o disposto l’arresto, questo segnala un problema, che andrà approfondito alla scadenza valutativa quadriennale. E lo stesso vale per la produttività, i tempi delle decisioni, lo smaltimento degli arretrati. Ma la scelta del Governo di riaffermare il principio del controllo “a campione” equivale né più né meno che alla abrogazione della riforma, per ragioni a tal punto evidenti da non dover essere nemmeno illustrate. Viene di nuovo garantita, insomma, la totale irresponsabilità professionale del magistrato, il cui concreto operato non avrà mai nessuna occasione per essere vagliato e giudicato ai fini dell’avanzamento in carriera.
In tal modo si alimenta ancora una volta la vera ragione dello squilibrio democratico che da trent’anni affligge il nostro Paese. Dei tre poteri dello Stato -legislativo, esecutivo, giudiziario- solo quest’ultimo non risponde a nessuno del proprio agire. Non disciplinarmente, garantito come è da una giustizia domestica e correntizia; non patrimonialmente, come attestato dal naufragio delle norme sulla responsabilità civile del magistrato; non professionalmente, grazie ad una progressione automatica in carriera che il Ministro Nordio e l’intera maggioranza si sono preoccupati di salvaguardare ancora, neutralizzando la riforma Cartabia che aveva osato metterla in discussione. Ancora una volta, un po’ di fumo negli occhi, e tanta premurosa accondiscendenza verso le richieste della Magistratura associata sulle questioni che contano davvero.