E' Sud
Riforme, leggi elettorali e divari territoriali: il paradosso tutto italiano
Partendo dal basso, le modifiche delle leggi sulle elezioni comunali, salendo poi alle Regioni, hanno, di fatto, stravolto i vecchi meccanismi di governo del sistema delle autonomie

Gli elementi che differenziano i modelli di governo nel nostro Paese sono dei più vari. Anche per questo, da tempo, si pensa di affrontare un percorso coordinato di riforme istituzionali e amministrative. Ci hanno provato in molti, governi di destra, di sinistra e di larghe intese, lo stesso Parlamento con le varie bicamerali o commissioni appositamente delegate. Si è fatto poco. Qualche spolverata alla Costituzione, il controverso intervento sul titolo V e molti interventi frammentati sulla macchina amministrativa con l’eccezione del disegno organico ricordato come “le leggi Bassanini” sulla semplificazione. In poche parole tanti sforzi ma pochissimi cambiamenti reali.
Il paradosso è, che a cambiare di più gli equilibri dei vari modelli di governo della repubblica, a livello centrale e periferico, sono state le numerose modifiche alle leggi elettorali. Il primato non è stato di un disegno pensato e ragionato di riforme costituzionali ma di quello che dovrebbe venire a corollario, appunto la legge elettorale, appendice di qualcosa che viene prima di una idea di Paese. Al contrario, da legge elettorale a legge elettorale, abbiamo modificato sostanzialmente gli equilibri di governo. Cambiata la forma di governo della Repubblica, per via diretta o indiretta, spostando i pesi e contrappesi tra i diversi organi costituzionali o di rilevanza costituzionale. Partendo dal basso, le modifiche delle leggi sulle elezioni comunali, salendo poi alle Regioni, hanno, di fatto, stravolto i vecchi meccanismi di governo del sistema delle autonomie.
Modificato profondamente il bilanciamento dei poteri, sovrapponendo il Sindaco, eletto direttamente dagli elettori e vero dominus, al centro di ogni mediazione e processo politico. Il funzionamento dell’amministrazione, prima essenzialmente imperniato attorno alle funzioni dei Consigli Comunali, si ribalta attorno al vertice. Questo è avvenuto successivamente anche con la elezione diretta dei Presidenti di Regione. Questo nuovo modello elettorale ha spostato il peso della struttura amministrativa e decisionale negli uffici alle dirette dipendenze del vertice politico, cambiando di conseguenza anche la cultura della dirigenza pubblica. Questo è avvenuto parzialmente a livello centrale, non essendoci state modifiche – così come è radicalmente avvenuto nel sistema delle autonomie – tali da stravolgere i tradizionali equilibri costituzionali del Parlamento e del Governo. Questo disallineamento ha anche determinato una disarmonia tra il modello “presidenziale locale” e quello “parlamentare nazionale”: Sindaci e Presidenti di Regione politicamente sempre più forti, e il Governo centrale proporzionalmente sempre più debole. Non entro sui riflessi che questo ha generato nell’assetto politico e nella credibilità e autorevolezza della politica. Ma voglio segnalare solo alcuni elementi che riguardano il tema di questa rubrica settimanale, e brevemente far presente quello che, questo cambiamento ha di riflesso causato, a cascata, sul nostro variegato territorio.
Sono convinto che questo confuso processo abbia aggravato, e non poco, gli squilibri territoriali aumentando i fattori di divario. Non c’è dubbio che a beneficiare di un omogeneo e ordinato modello di governo sia quella parte del Paese storicamente in deficit di sviluppo. Si è sempre detto e scritto che proprio il Sud potrà trarre vantaggio da quelle riforme in grado di modernizzare l’Italia nel suo complesso. Invece le riforme spezzatino realizzate in questi ultimi venti anni, hanno continuato a favorire le aree territoriali più forti. Dalla modifica al titolo V della Costituzione alle nuove leggi elettorali. Sulla prima si è scritto e detto di tutto sul resto molto meno. A Nord l’elezione diretta dei Sindaci e dei Presidenti di Regione ha permesso in quel territorio di trasferire il precedente modello amministrativo, sostanzialmente efficiente, nei nuovi schemi presidenziali. I nuovi vertici, eletti direttamente, hanno ereditato una macchina funzionante, da rimodellare attorno al nuovo ruolo politico. Quello che funzionava bene, orizzontalmente nell’amministrazione, continua sotto il controllo più diretto del decisore politico. Non a caso, e anche per questo, dai Presidenti delle Regioni del nord è partita la richiesta di ulteriori e maggiori poteri attraverso l’Autonomia Differenziata.
Al Sud, al contrario, questi cambiamenti di sistema di governo, non hanno prodotto un miglioramento della macchina amministrativa, storicamente fragile e inadeguata, ma hanno solo trasferito sui sindaci e presidenti tutte le vecchie debolezze. Questo ha in molti casi favorito quei fenomeni più volte denunciati di cacicchismo e di sterile ribellismo locale.
In poche parole, con un percorso frammentato di mezze riforme insieme a un incisivo cambio di regole elettorali si è, tra le altre cose, aumentato il divario territoriale e, conseguentemente, la distanza tra Nord e Sud. Al di là del merito, la scelta del Governo di affrontare, in un unico disegno, le riforme istituzionali, sembra essere un iter più corretto. Unire il premierato con la definizione a regime del regionalismo differenziato, e di riflesso scegliere una legge elettorale coerente a questo disegno, ha sicuramente il pregio di configurare, finalmente, un percorso funzionale anche al tema del divario territoriale.
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