Guido Bodrato, storico leader della sinistra democristiana e autorevole esponente del Cattolicesimo popolare e sociale del nostro paese, amava sempre richiamare l’attenzione sul fatto che una delle questioni cruciali attorno alle quali i cattolici impegnati in politica non dovevano mai abbassare la guardia era quella riconducibile alla “qualità della democrazia”. E quindi, grande ed intelligente attenzione ai temi legati alle riforme istituzionali e costituzionali. Temi e argomenti, questi, che sono sempre stati al centro dell’intera esperienza del cattolicesimo politico nel nostro paese. E non è un caso, del resto, che in tutti i tornanti politici più delicati, e storici, del nostro paese – a cominciare dall’elaborazione della Carta costituzionale – la presenza e l’iniziativa dei cattolici popolari è sempre stata decisiva per non dire determinante ai fini della conservazione democratica o della tenuta dello Stato di diritto. Ora, dopo aver bocciato, e bloccato, le ultime riforme – peraltro necessarie ed indispensabili – istituzionali e costituzionali, siamo nuovamente di fronte ad un tentativo da parte del Governo Meloni di porre mano a ritocchi del nostro assetto politico e al governo.

Matteo Renzi, in un editoriale su queste colonne, ha detto “sì all’elezione diretta ma no ai pasticci”. Ecco, proprio attorno ai “pasticci” si rischia sempre di indebolire o di compromettere un serio sforzo di revisione costituzionale e di riforma istituzionale. Che, lo ripeto, è necessaria. Ecco perché, al di là della legittima propaganda – ma che tale resta – della sinistra massimalista e radicale della Schlein e dei populisti dei 5 stelle, è indubbio che su questo versante la politica, i partiti, le culture politiche si giocano molto della loro credibilità. E proprio la cultura popolare e cattolico democratica, su questo versante, non può essere reticente o ambigua. Perché, appunto, sulla forma e sulla concezione della democrazia si è storicamente contraddistinto il pensiero e la cultura popolare. Il tutto ruota attorno ad alcuni caposaldi costitutivi: e cioè, democrazia rappresentativa; centralità del Parlamento; stabilità dei governi; ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica; bilanciamento dei poteri; pieno riconoscimento del pluralismo; cultura delle alleanze.

Principi e regole che non sono, come ovvio, dogmi ma che rappresentano tuttavia linee guida attorno alle quali si basa e si articola il confronto politico con i partiti e le altre culture politiche. Certo, si tratta di tasselli attorno ai quali ruota la concezione che si ha dello Stato, il profilo della democrazia e il ruolo delle istituzioni. Senza però mai dimenticare il richiamo, caro a Roberto Ruffilli, l’autorevole politologo cattolico democratico barbaramente ucciso dalle brigate rosse nel 1988, del “cittadino arbitro”. Cioè, il “cittadino come arbitro in una democrazia matura”. Insomma, quando si parla di riforme istituzionali sono e restano due gli elementi decisivi per poter affrontare seriamente l’intera questione. Da un lato respingere al mittente qualsiasi tentativo di delegittimare radicalmente la proposta della maggioranza di governo solo perché sono dei nemici politici incalliti con cui non si può e non si deve dialogare, ovvero le cosiddette pregiudiziali ideologiche frutto e conseguenza di una concezione infantile e nefasta; in secondo luogo massima apertura al dialogo – anche perché le istituzioni valgono per l’intero paese e non solo per una maggioranza politica e al governo – ma anche fedele, coerente e coraggiosa, alle proprie radici culturali e storiche. Sono queste le due dimensioni che da sempre caratterizzano il comportamento politico dei cattolici democratici e popolari nella vita pubblica e cioè, per dirla con Aldo Moro, “coscienza di sé e apertura verso gli altri”.