Politica
Rilanciare il Sud si può ma ora l’Europa deve scendere in campo

Le anticipazioni del Rapporto Svimez 2021 rivelano che la ripresa postpandemica sarà più lenta nel Mezzogiorno causando un suo ulteriore distacco dalle regioni più sviluppate d’Italia. Questo vuol dire che il Sud non riuscirà ad agganciarsi al motore settentrionale dell’economia italiana. Le due parti del Paese percorrono da decenni sentieri divergenti, tanto che la persistenza di un dualismo cronico mette in discussione la stessa esistenza di un’economia nazionale.
Bisogna ammettere che la questione dello sviluppo del Mezzogiorno collocata in una prospettiva nazionale, entro il quadro tradizionale dei rapporti tra il Nord e Sud d’Italia, non corrisponde più alla realtà dei fatti. Occorre ammettere che l’economia italiana è divisa in due macroregioni distinte: l’area del Centro-Nord, stabilmente inserita nel nucleo sviluppato dell’economia europea, e il Mezzogiorno, realtà frammentata e variegata, collocata in una posizione marginale e in concorrenza, nell’ambito dell’Unione, con le altre economie mediterranee e con le aree emergenti dell’Est europeo. Il processo d’integrazione europeo che vent’anni fa, con l’avvio della moneta unica, ha subito una decisa accelerazione, ha ridotto i confini politici nazionali a convenzionali segni su mappe geografiche, mentre alla ribalta sono salite le macroregioni, entità transnazionali basate su concreti legami ed interessi economici più che su astratti vincoli politico-istituzionali. La carta d’Europa, letta nella prospettiva delle relazioni economiche, rivela molte novità. Amburgo-Aversa-Rotterdam, pur appartenendo a tre Stati diversi, formano un’unica grande regione economica dove si concentrano le attività logistiche che costituiscono lo sbocco commerciale dell’area renana, tra Francia e Germania, uno dei polmoni industriali d’Europa.
A Est, lungo le rive del Danubio, della Vistola fino ai Paesi baltici, si è ricostruita la Mitteleuropa che, favorita dall’allargamento dell’Unione ai Paesi ex comunisti, ha fornito nuovi consumatori e nuova manodopera per le industrie europee. Infine, più a Sud, nella Pianura Padana, troviamo l’altro polmone industriale del continente europeo. Ognuna di queste macroaree ha un ruolo nella complessa economia europea e ha sfruttato proprie potenzialità per avviare un processo virtuoso di sviluppo. I Paesi dell’Est ex-comunista, per esempio, hanno sfruttato a loro vantaggio l’alto livello di istruzione tecnica e la diffusa conoscenza del tedesco per innestarsi nel tessuto produttivo della Germania, favoriti ovviamente dai bassi salari e da regimi fiscali competitivi.
Queste dinamiche lasciano intendere che il futuro di sviluppo per il Mezzogiorno deve avvenire entro il quadro delle opportunità offerte dall’Unione europea: la questione meridionale non è più questione nazionale, ma è problema europeo. Visto in questa realistica prospettiva, il Mezzogiorno divide il suo destino di sviluppo non più con il Centro-Nord d’Italia, ma con altre regioni mediterranee, costituendo una vasta area, dalla Spagna alla Grecia, che segna il confine meridionale dell’Unione e che oggi, da Bruxelles, appare più come un fronte periferico problematico che come una terra di opportunità. Negli ultimi anni, infatti, i maggiori investimenti infrastrutturali europei sono stati concentrati nella dorsale Ovest-Est, e molto poco è stato fatto e progettato per la direttrice Nord-Sud. Queste scelte sono state in gran parte motivate anche dalla instabilità politica del Nord Africa e del Medio Oriente che nell’immediato non offrono certo scenari di opportunità. Occorre utilizzare i fondi europei del Recovery Plan in relazione al ruolo che il Sud può assumere nel quadro europeo e mediterraneo. Occorre, cioè, definire un modello di sviluppo che sia in grado di ritagliare un’area regionale agganciata al motore europeo.
Il vantaggio competitivo delle regioni meridionali è costituito dal clima mite per gran parte dell’anno, dalla unicità del patrimonio artistico e paesaggistico che dev’essere opportunamente valorizzato con massicci interventi infrastrutturali (alta velocità, diffusa edilizia alberghiera e residenziale, porti turistici, fonti energetiche alternative e ingenti investimenti nella formazione scolastica e universitaria) e al quale potrebbero aggiungersi un’industria leggera e un’agricoltura ecocompatibili, entrambe inserite nella catena del valore internazionale, con una vocazione esportatrice. Si tratta di un modello di sviluppo che ha radici storiche lontane, molto simile al ruolo che queste regioni rivestivano nel grande impero romano, come aree di produzione agricola, come centri di formazione culturale e di raffinata leisure industry. Questo dev’essere il futuro che dobbiamo creare per il Sud. L’insuccesso può significare la condanna del Mezzogiorno ad area periferica, in cui l’unica forma di integrazione nell’economia europea saranno gli spazi di illegalità egemonizzati dalla criminalità organizzata, che ha dimostrato negli ultimi anni di saper sfruttare le potenzialità offerte dal mercato unico per profitti illegali, investimenti e riciclaggio.
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