La “rimborsopoli” lombarda si è conclusa con la condanna solo di Nicole Minetti, eletta nell’allora listino di Roberto Formigoni, e di un altro paio di consiglieri regionali, gli unici che all’epoca scelsero di patteggiare la pena. Per tutti gli altri che hanno invece affrontato il processo è arrivata l’altra sera la decisione della Cassazione che, riqualificando l’iniziare reato di peculato, ha annullato tutte le condanne. Ad iniziare da quella di Massimiliano Romeo, attuale capogruppo della Lega al Senato che era stato condannato a un anno e otto mesi in appello e che, in caso di conferma, avrebbe rischiato la sospensione per la legge Severino.

La Procura di Milano aveva contestato agli allora consiglieri del Pirellone, di maggioranza e di opposizione, di essersi fatti rimborsare con soldi pubblici, per un totale di circa tre milioni in quattro anni, le spese più varie, tra cui soprattutto pranzi e cene. La vicenda occupò per mesi le pagine dei giornali. In secondo grado, nel luglio 2021, erano state condannati una quarantina di ex consiglieri regionali lombardi. Come detto, l’accusa di peculato è stata derubricata in indebita percezione di erogazioni pubbliche, reato ormai prescritto. Sono state così cancellate senza rinvio, dunque, le condanne, oltre che per Romeo, per Renzo Bossi (due anni e mezzo in appello) e per l’eurodeputato leghista Angelo Ciocca (un anno e mezzo in appello). Le indagini sui fondi regionali ebbero comunque uno sviluppo a macchia di leopardo, con sentenze quanto mai difformi fra loro. In Emilia Romagna, ad esempio, era stato assolto il governatore Stefano Bonaccini (Pd).

In Piemonte, invece, era stato condannato a tre anni per concussione, dopo un lunghissimo processo conclusosi in un secondo procedimento in appello a otto anni dalla contestazione dei fatti e dopo quattro gradi di giudizio, Angelo Burzi, capogruppo di Forza Italia. Burzi che era accusato di essersi fatto rimborsare con i fondi pubblici le spese sia per la realizzazione di un video per la campagna elettorale del 2010, sia per pranzi e cene che secondo i magistrati non erano inerenti all’attività di consigliere regionale, era morto suicida a dicembre dello scorso anno, dopo aver lasciato una lettera in cui spiegava le ragione del tragico gesto. Ma il caso più celebre è stato certamente quello di Franco Fiorito, detto Batman. Il consigliere azzurro della giunta laziale di Renata Polverini venne anche arrestato dalla Procura di Roma che gli sequestrò beni per 1,3 milioni di euro, tra cui una villa al Circeo, una Bmw, una Smart, una Land Rover. “Comprata coi contributi sottratti al gruppo del Pdl”, dissero i magistrati. Per lui la condanna definitiva fu di due anni ed undici mesi.