Riprendono le udienze e non si trova un giudice
Rinascita Scott a rotoli, si sbriciola il sogno di Gratteri di diventare più famoso di Falcone
Altro che soufflé che si sgonfia, qui nel forno lo troveranno carbonizzato, il processo, quando domani si riapriranno le porte dell’ormai tristissima e vuota aula bunker di Lamezia per riprendere le udienze del “Rinascita Scott”. Non sappiamo più, di questi tempi, se c’è ancora il famoso giudice a Berlino invocato dal mugnaio di Bertold Brecht, ma pare che non ce ne sia più nessuno a Vibo Valentia, dove di ricusazione in ricusazione non si sa più chi sia in grado di condurre il famoso Maxi che avrebbe dovuto rendere il procuratore Gratteri più famoso di Giovanni Falcone.
Lui stesso pare spingere lo sguardo sempre più lontano. Verso Cosenza, dove si è esibito con un nuovo blitz di duecento persone, e vedremo quante gliene resteranno, dopo i vari gradi di riesame e cassazione. E dove ha rischiato l’azione disciplinare per la nota di sarcasmo con cui ha detto che erano stati arrestati dei “presunti innocenti” di cui non poteva dire nomi né imputazioni. Mentre intanto qualcuno volantinava ai giornalisti l’intero documento dell’ordinanza del giudice. Un inciampo che potrebbe chiudergli le porte di Napoli, e la sua aspirazione a prendere il posto di Giovanni Melillo, al vertice della procura più affollata d’Italia. Ma intanto una lezione Nicola Gratteri dovrebbe averla imparata. Non tutti sono capaci di mettere in piedi un maxi-processo con centinaia di imputati. Anche perché il codice di procedura penale del 1989 dovrebbe andare in direzione opposta. E il procuratore può solo ringraziare gli interventi più conservatori (e nostalgici del sistema inquisitorio) della Corte Costituzionale, se è riuscito a mettere in piedi un baraccone che lega gli imputati tra loro solo sulla base del reato di associazione mafiosa. E che è stato già in parte demolito dai provvedimenti del tribunale del riesame e della cassazione.
La storia delle ricusazioni parte dall’iniziativa della stessa Dda, la procura antimafia di Catanzaro, che, quando il processo cominciò, sollevò l’incompatibilità della presidente Tiziana Macrì, la quale in passato in un procedimento “minore”, nella sua veste di gip, aveva autorizzato la proroga delle intercettazioni nei confronti di un imputato che riapparirà anche nel “Rinascita Scott”. La stessa giudice aveva in seguito presieduto collegi che avevano mandato assolti parecchi imputati fatti arrestare su impulso del procuratore Gratteri. Ma questo, sul piano formale, è secondario. Ed è vero che benché l’incompatibilità fosse dubbia, trattandosi solo di una proroga, probabilmente anche gli avvocati difensori l’avrebbero ricusata. Cosa che stanno facendo ora nei confronti di altre due giudici, la presidente e una laterale del collegio. Il patatrac che sta sbriciolando il maxiprocesso di Nicola Gratteri ha le impronte digitali della Corte d’appello di Catanzaro, che si è pronunciata nello scorso agosto in sede di rinvio sull’incompatibilità della presidente Brigida Cavasino e della giudice Gilda Romano. Le due magistrate, ha stabilito la corte, non possono essere imparziali nei confronti dell’imputato Giuseppe Accorinti perché hanno già espresso un giudizio su di lui nella sentenza del processo “Nemea-Rinascita Scott”. Loro stesse erano ben consce della situazione, tanto che nel marzo 2021 avevano presentato una richiesta di astensione dal maxiprocesso, che però era stata respinta sia dal presidente del tribunale di Vibo Valentia Di Matteo che dalla corte d’appello di Catanzaro.
Sembra la storia di due prigioniere, quella di queste due giudici. E noi, non conoscendo la situazione dei tribunali calabresi, ci domandiamo se non esistano a Vibo Valentia altri magistrati che non abbiamo mai messo la testa sulle carte del processone di Gratteri, oltre a loro. Perché la storia non finisce qui, purtroppo. Perché sia la decisione della cassazione del 12 gennaio che poi quella della corte d’appello del 10 agosto, accogliendo la richiesta di ricusazione dell’imputato Accorinti, hanno dichiarato l’inefficacia di una serie di atti. Si pone però subito un problema: la decisione non dovrebbe riguardare anche il giudizio su tutte le posizioni connesse, quindi altri imputati? Ah le problematiche dei maxiprocessi, dottor Gratteri! Poi la situazione si ingarbuglia perché alla ripresa del processo, pochi giorni fa, il tribunale ha disposto lo stralcio della posizione di Giuseppe Accorinti, e non avrebbe potuto farlo, senza aver prima sentito le parti. Quindi si è ricominciato daccapo. Molti difensori di diversi imputati hanno fatto notare che lo stralcio di una sola persona non risolverebbe il problema delle incompatibilità, in quanto il reato di associazione mafiosa, cioè il collante che tiene insieme tutto quanto il processo e che lega gli imputati l’uno all’altro, è un reato a “concorso necessario”. Ubi tu Gaius, ibi ego Gaia, dunque.
Tutti inscindibili, come in una certa formula rituale di matrimonio latino. Tra l’altro, la principale imputazione nei confronti di Accorinti nel processo “Rinascita Scott” è quella di essere, insieme a Luigi Mancuso, Saverio Razionale e Rocco Anello, uno dei quattro capi della ‘ndrangheta del vibonese, che viene intesa come una struttura unitaria. Ancora una volta, cascano le braccia. Era proprio indispensabile mettere tutto insieme, vedere sempre il “disegno unico” e coltivare manie di grandezza invece di fare i singoli processi e magari cercare di vincerli? E di assestare qualche bel colpo processuale ai boss? Nel frattempo i pubblici ministeri della Dda di Catanzaro, che rappresentano l’accusa in aula, Antonio De Bernardo e Andrea Mancuso, vogliono mantenere le due giudici all’interno del collegio e andare avanti con il processo, dopo lo stralcio della sola posizione di Accorinti. Ma intanto –piccolo colpo di scena- sia la presidente Cavasino che la giudice Romano hanno presentato di nuovo richiesta di astensione, la prima solo nei confronti di tre imputati, l’altra verso tutti. Sarà di nuovo il presidente del tribunale Di Matteo a dover decidere. Ma insomma, domandiamo ancora, non ci sono altri giudici, in quel di Vibo Valentia? Pare ne esistano altri tre, escludendo anche la dottoressa Macrì già mandata al “sacrificio” dagli stessi uomini della procura.
Ma se qualcuno pensa che l’imbroglio sia di facile soluzione, non ha fatto i conti con gli i difensori degli altri imputati. Prendiamo per esempio la posizione di Luigi Mancuso, che sarebbe uno dei quattro importanti boss del Vibonese. La sua posizione è identica a quella di Accorinti, perché anche nel suo caso la cassazione ha rinviato a un’altra corte d’appello, che nei prossimi giorni non potrà che uniformare la propria decisione a quella dei colleghi, accogliendo le richieste di ricusazione nei confronti delle due giudici. Così si creerà un ulteriore garbuglio procedurale. Che riguarderà, a cascata, una serie di altri soggetti processuali. Tra gli altri anche Giancarlo Pittelli, che continua a essere in vinculis con un’accusa di concorso esterno basata sul fatto che avrebbe favorito proprio Mancuso attraverso la divulgazione di atti segreti, nella sua veste di avvocato. Se il tribunale del Maxi decidesse, come ha fatto di nuovo alla fine dell’ultima udienza rispetto a Giuseppe Accorinti, di stralciare la posizione di Luigi Mancuso (su cui una delle due giudici si è già astenuta) e di farlo processare da un altro collegio, per l’avvocato Pittelli verrebbe messo in scena il teatro dell’assurdo. Con chi avrebbe concorso esternamente nell’associazione mafiosa? Con uno che nel processo non c’è più? Qui le violazioni del codice di procedura si sommano e si sprecano. Certo che se il Csm, nonostante le birichinate dell’altro giorno, dovesse promuovere il dottor Gratteri e mandarlo a dirigere la procura di Napoli, sarebbe bella bollente la patata che rimarrebbe nelle mani del suo successore. Intanto vediamo che cosa succederà nella triste e vuota aula di Lametia domani mattina.
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