A proposito del libro: Paolo Evangelisti, «Vide igitur, quid sentire debeas de receptione pecuniae». Il denaro francescano tra norma ed interpretazione (1223-1390), CISAM, Spoleto 2020

Nel 2010, nel pubblicare uno degli ultimi libri di Jacques Le Goff, Il medioevo e il denaro, così come suonava il titolo originale francese, pensava bene di intitolarlo Lo sterco del diavolo, il denaro nel medioevo, sovrapponendo così alle riflessioni del grande storico francese la riproposizione dei più vieti luoghi comuni sul medioevo, così prigioniero delle sue superstizioni da essere incapace di cogliere i dinamismi economici che pure pervadevano la sua società.

Eppure nel 2010 storici italiani, non di rado in attento dissenso con le posizioni di Le Goff, avevano già da tempo iniziato un percorso che portava ben al di là di letture superficiali e della generalizzazione di qualche tirata moralistica, peraltro non specifica dell’Età di Mezzo. Con la lezione di studiosi come Ovidio Capitani e di Giacomo Todeschini era venuta alla luce una riflessione medievale raffinata e intellettualmente avvertita, che proveniva proprio da dove meno gli stereotipi “medievalisti” se la potevano attendere, vale a dire dagli Ordini mendicanti, e in particolare dai Francescani. Un’attenzione ai linguaggi delle fonti mostrava infatti che proprio i più radicali portatori della povertà evangelica avevano sviluppato un’acuta e penetrante lettura delle dinamiche economiche del loro tempo.

Paolo Evangelisti ha appena pubblicato uno dei frutti più maturi di questa nuova stagione storiografica, un libro che mostra come proprio dalla proibizione di maneggiare il denaro, ben lontana dall’esprime un timore irrazionale di toccare “lo sterco del diavolo”, sia cresciuta una finissima interpretazione dei rapporti tra il frate e il valore economico, che si inserisce poi in una concezione più complessiva dell’antropologia economica. L’oggetto dell’indagine di Paolo Evangelisti non è infatti in generale l’etica economica dei Francescani, o i linguaggi economici che hanno contribuito a forgiare: su questo esiste già una significativa letteratura, cui lo stesso Evangelisti ha contributo in modo egregio. Al centro sta invece specificamente il “denaro francescano”, come appunto recita il sottotitolo del volume: Il denaro francescano tra norma e interpretazione (1223-1390). Non stupisca l’espressione “denaro francescano”: perché, come ci spiega lo stesso Evangelisti in apertura del suo volume, uno degli errori di prospettiva da evitare è dare per scontato che le monete che circolavano nel XIII secolo, all’inizio dell’avventura francescana, fossero la stessa cosa della moneta con cui abbiamo a che fare nel XXI secolo.

È sempre pericoloso pensare in modo acritico il passato con le categorie del presente, immaginandosi che il denaro non abbia una storia, non muti con il trascorrere del tempo e il trasformarsi delle società. Dopo averci messo in guardia dall’illusione prospettica dell’eternità del Mercato (che invece non è eterno come ci ha insegnato Karl Polanyi, che l’autore ha ben presente), Evangelisti conduce con mano sicura il lettore nella selva di fonti solo apparentemente aride e ripetitive, ma che acquistano vivacità sotto la sua penna. Si tratta dei Commenti alla Regola francescana e della Costituzioni dell’Ordine di Minori (denominazione “tecnica” di quelli il linguaggio quotidiano designa come francescani), che hanno normato nel tempo l’applicazione concreta della Regola ai casi specifici.

Ne risulta un ribaltamento radicale dello stereotipo dell’“ingenuità del Poverello d’Assisi”, che sarebbe stato incapace di comprendere le reali dinamiche della società e psicologicamente incapace di reggere il contatto con “lo sterco del diavolo”. Invece di essere la reazione nevrotica nei confronti della cifra del mondo mercantile del padre cui Francesco si è ribellato, la proibizione contenuta nella sua Regola costituisce un’intuizione dalla grande portata antropologica. Il lavorio interpretativo su questo documento formalizzerà poi questa intuizione di Francesco in una distinzione fondamentale tra “denaro monetato”, cioè la sua dimensione materiale e corporea, e “denaro” inteso in un senso molto più ampio, come ogni “potenzialità pensabile nella logica dello scambio”, scrive Evangelisti. Il “denaro francescano” è quindi attraversato da questa distinzione e dalla consapevolezza che il il “denaro monetato” è intrinsecamente insufficiente a costituire la misura del valore e delle cose e, a maggior ragione, degli uomini.

Questo, verrebbe da dire, è il “contenuto di verità” della proibizione dell’uso del denaro, quella che Evangelisti stesso chiama “l’inconsistenza del denaro monetato”, rispetto a una lettura della società permeata da scambi di valore di portata ben più ampia. La riflessione, ma anche le prassi generate da quella proibizione di ricevere denaro, non vanno quindi lette nel senso di un più o meno autentico, più o meno ipocrita, “adattamento” di un idealismo originario alle “necessità reali”. Piuttosto, scrive Evangelisti, di tratta di un’”integrazione positiva di prassi” operata con coerenza rispetto ai principi originari. La proibizione di ricevere denaro ha posto quindi i Francescani nella possibilità di poter comprendere e esperire, per usare il bel titolo di un libro di Michael Sandel, Ciò che i soldi non possono comprare.

Quasi un mese fa con il video messaggio di Papa Francesco si è concluso l’evento “The Economy of Francesco”, rivolto in particolare ai giovani. L’home page del sito parla di Economisti, imprenditori e changemakers per dare un’anima all’economia globale, i relatori invitati affrontano temi quali il contrasto alla povertà, l’economia sociale, la sostenibilità ambientale, il rapporto tra intelligenza artificiale e diseguaglianze sociali. In sé, non si tratterebbe di temi specificamente francescani, ma non può sfuggire la circostanza per la quale è Assisi il luogo nel quale si è svolto – per quanto costretto online – l’evento. Agli interventi, ai dibattiti, alle performance artistiche si sono intervallati momenti di sosta di riflessione in luoghi assisani di particolare pregnanza francescana: San Damiano, Rivotorto, Santa Chiara, ma anche il Monte Frumentario, una delle istituzioni promosse dai Francescani nel Quattrocento quale strumento di intervento nella vita economica.

Questo rinnovato tentativo di ripensare l’economia si pone quindi, ben al di là del titolo, sotto l’egida di Francesco d’Assisi e della tradizione francescana e si propone di continuare su questo solco nei futuri appuntamenti. La lettura del libro di Evangelisti potrebbe essere di grande utilità anche a chi si impegna in questo progetto, certo non nel senso di andare alla ricerca di ricette già nell’esperienza francescana dei secoli XIII e XIV e pretendere di applicarle acriticamente al presente, e neppure per fornire una coloritura vagamente “francescana” alle proprie proposte. Piuttosto, può servire ad acquisire maggiore consapevolezza delle implicazioni già nei primi secoli, del rapporto tra Ordine francescano ed economia, perché, per chi si pone seriamente i problemi del suo tempo, la storia è molto più utile del mito.