Negli ultimi giorni alcuni fatti di cronaca con protagonisti studenti e scuole sono tornati alla ribalta. A Varese un ragazzo di 17 anni ha accoltellato alla schiena una professoressa, con l’aggravante che, dalle prime indagini, sembrerebbe esserci la premeditazione e un desiderio di vendetta per una bocciatura che in realtà non era mai arrivata. A Pieve Emanuele un ragazzo di 16 anni è stato accoltellato a una gamba da un coetaneo, pare per motivi legati a una ragazza. Per qualche giorno ancora se ne parlerà: aggiornamenti sullo stato di salute delle vittime, cronaca dei procedimenti giudiziari che coinvolgono gli aggressori, qualche intervista. E poi, come tanti altri casi simili, ce ne dimenticheremo. Fino al prossimo caso: perché sì, ci sarà un altro caso, è solo questione di tempo. Sarebbe invece opportuno e utile andare alla radice del fenomeno, chiedersi il perché, indagare cosa si sarebbe potuto fare per evitare casi simili, portare soluzioni e lavorare perché il disagio giovanile possa trovare un supporto e per far sì che chiunque sia vittima di bullismo – perché di questo stiamo parlando, di un fenomeno che prende diverse forme, dalle più violente ed eclatanti a quelle più subdole e silenti, possa avere la garanzia di un aiuto concreto e reale.

Nei giorni scorsi, in vista della Giornata Internazionale contro il Bullismo e il Cyberbullismo che si tiene ogni anno il 7 febbraio, ScuolaZoo ha effettuato diverse indagini, avendo la fortuna (e la responsabilità) di parlare ogni giorno a oltre quattro milioni di ragazzi attraverso i propri canali social. I dati emersi devono essere fonte di riflessione. Oltre ai numeri impressionanti dei ragazzi che sono stati vittime di episodi di bullismo o cyberbullismo (uno studente su due lo ha dichiarato) sono le risposte relative alla scuola a doverci dare una svegliata. I risultati evidenziano che il 45% degli studenti pensa che all’interno della propria scuola il fenomeno del bullismo non sia adeguatamente affrontato e gestito, mentre il 30% ritiene che il fenomeno sia affrontato solo in parte. Un altro dato interessante rivela che solo l’8% delle scuole ha adottato un efficace protocollo di gestione del problema. Il 69% degli studenti sostiene che un protocollo anti-bullismo non esiste (o non ne conosce l’esistenza), mentre il 20% sa della sua esistenza ma lo ritiene insufficiente. Interessante è anche il punto di vista dei ragazzi sul ruolo degli adulti, in particolare dei propri insegnanti: solo il 18% tra gli studenti che hanno assistito ad episodi di bullismo ha informato un insegnante. Mancanza di fiducia o incapacità nell’aprirsi: ma di certo sintomo di una relazione zoppa..

Colpa delle scuole, quindi? No, sia chiaro. Non è un j’accuse, anzi: è il punto di non ritorno per una situazione che ci sta sfuggendo di mano e la richiesta, disperata a volte, di rimettere la scuola al centro della vita dei ragazzi. Sostenendola, aiutandola, dotandola di mezzi e strumenti, dando la giusta formazione a insegnanti e dirigenti, creando una rete di ascolto e di controllo efficace. Il bullismo, in qualsiasi delle sue mille forme, è oggi un fenomeno complesso e difficile da intercettare, molto cambiato rispetto ad anni fa e radicalizzatosi negli ultimi anni. La scuola ne rimane l’epicentro: è qua che i ragazzi passano la maggior parte delle loro giornate, ed è qua che spesso si formano i gruppi di bulli in cui la responsabilità del singolo si annulla e la violenza affiora. Ma oggi il bullismo prosegue anche dopo: tra commenti sui social, gruppi di chat, account, le forme sono tante e soprattutto sono sempre presenti. E, ogni tanto, prendono strade incomprensibili: prendono la forma di un coltello da cucina o di un pugno sul volto. Cosa serve oggi? Ascolto dei ragazzi, in primis. Oggi gli adolescenti vivono un periodo complesso in cui le certezze sono sempre meno, i cambiamenti tanti e non hanno, il più delle volte, un appiglio o un’ancora di sicurezza.

È per questo che, anche come ScuolaZoo, sosteniamo da tempo la necessità di avere uno psicologo scolastico presente e preparato. È prevenzione, è necessità, è la migliore forma di supporto per i ragazzi. Serve formazione. Non possiamo pensare che insegnanti e dirigenti scolastici siano lasciati soli a gestire un fenomeno così complesso. Serve dar loro supporto e aiuto, strumenti per intercettare fenomeni simili sul nascere, mezzi per poter risultare affidabili davanti agli occhi dei ragazzi, metodi per gestire all’interno delle comunità scolastiche episodi e segnali. Serve il supporto delle famiglie. Spesso si tende a semplificare, a essere “genitori spazzaneve”, a ridurre episodi così a un semplice scherzo tra ragazzi o, peggio, a incolpare la scuola difendendo a spada tratta i propri figli. Serve rimettere la scuola al centro: tutta. La lotta al bullismo richiede un impegno congiunto di studenti, insegnanti, famiglie e personale scolastico, unito ad un approccio che vada oltre la semplice repressione degli episodi (che peraltro spesso non c’è). Serve ridare alla scuola la dignità, la fiducia, l’affidabilità che pian piano sembra perdere. Serve iniziare ad agire per cambiare e non limitarsi ad aspettare il 7 febbraio o l’ennesimo studente che aspetta un proprio insegnante fuori da scuola. Siamo testimoni di un fenomeno spesso violento che cresce nell’ombra, alimentato dalla nostra incapacità di affrontarla. Ogni nuovo caso di bullismo è un monito che ignoriamo, un campanello d’allarme che scegliamo di non udire: l’eco di un trattore a Sanremo rimbomba più forte del disperato silenzio di un giovane senza rifugi.