Riscatto per la liberazione di Silvia Romano, polemiche e hater

Sono bastati un paio di minuti. Solo qualche momento e sono partiti i primi commenti. “Chi è questa?”; “Quanto avranno pagato il riscatto?”; “Chi gliel’ha fatto fare?”. E via dicendo. Fino alle offese più dure. Caratterizzate da un sessismo nemmeno troppo velato. È che su Facebook ci sono dei gruppi senza misura e senza decenza. “Il Paese che odia”, come l’hanno più volte chiamato. Una realtà che non è solo virtuale: tocca ripeterlo ancora. E così, dopo gli annunci dei giornalisti emozionati in diretta, i canti ai balconi – che belli questa volta – di una Milano fiaccata dal coronavirus e la gioia bipartisan dei politici – nemmeno il Covid-19 li aveva uniti – ecco che è tornata a salire la bile del Paese. Silvia Romano nel primo pomeriggio atterrerà a Ciampino dopo 535 giorni di prigionia tra Kenya e Somalia. Solo lei potrà chiarire dettagli e misteri sul suo caso. Ieri la notizia della sua liberazione e del suo ritorno aveva unito ed emozionato un’Italia messa in ginocchio dalla pandemia. Quella magia sembra già finita.

Ce lo aspettavamo, in fondo. A differenza di Enrico Mentana, decisamente più ottimista, che sui social si è stupito di come “malpancisti e odiatori di ogni ordine e grado invece sono spuntati fuori da ogni parte. Ve lo dico col cuore: fate schifo”. Evidentemente aveva dimenticato che oltre all’Italia che lavora che si dispera e che si innamora c’è anche un’Italia che odia. E che è capace di certe sparate come di chi della notizia è “contento ma lo sarei ancora di più se chi vuole andare in quei paesi a rischio girasse prima una liberatoria allo stato italiano che lo esonerasse dall’obbligo di salvataggio”; oppure di chi si lamenta di quei soldi, dei soldi del presunto riscatto, spesi “proprio adesso che avevamo bisogno” vista la crisi scatenata dal coronavirus; e di chi propone che tale somma sarebbe dovuta andare “ai pensionati italiani”. E poi, visto che si tratta di una ragazza, tutte le osservazioni e congetture di tipo sessuale. Roba da vomitare.

Un evergreen, un film già visto. Che non merita attenzioni, ci ripetiamo in ogni caso e anche ieri. Salvo che poi simili argomentazioni finiscano in prima pagina. Con chi si chiede quanto sia costato il riscatto e chi anticipa la cifra di 4 milioni di euro. E quindi, dal commentatore anonimo chiuso nella sua stanzetta alla sola luce dello smart-phone fino alla colta penna dell’editorialista secondo il quale Romano avrebbe fatto meglio a saziare la sua fame di volontariato in qualche Caritas italiana, tutto si tiene. In qualche modo si giustifica, si legittima.

Probabilmente ci sarà da dedicare più di una riflessione alle modalità di scelta delle destinazioni delle attività di volontariato. Ma che l'”aiutiamoli a casa loro” sia solo uno slogan retorico, anzi truffaldino, è fuor di discussione. Un altro velo toccherà stenderlo sulla retorica sardiniana – che gaffe, da parte di quelli che “non esistono”, nel montare il proprio simbolo, come il Partito Democratico, sulla notizia condivisa sui social – del bene che trionfa sul male. Silvia Romano non è (o almeno non è la sola) “parte migliore del paese”, non facciamone necessariamente un simbolo, un’eroina. Silvia Romano ha compiuto 24 anni in prigionia del gruppo terroristico jihadista Al Shaabab e oggi torna a casa. E questa è l’unica cosa che conta, senza retorica. Le sue prime parole dopo la liberazione: “Sono stata forte e ho resistito”. Sicuramente riuscirà quindi a resistere anche a certi commenti, a certi editoriali, a certe speculazioni. E sarà difficile non emozionarsi vedendola scendere le scalette dell’aero.

Nel frattempo, la riposta del rapper Fankie Hi-nrg, a chi chiedeva del prezzo del riscatto, è diventata la più citata sui social: “Meno della tua istruzione ma certamente meglio spesi”. Poco altro da aggiungere.