È un momento critico per l’UE, bombardata come non mai da una convergenza di poteri ostili. La propaganda americana e russa, innanzitutto, fomentata da ovvi interessi, seppur ammantati di (ipocrita) retorica pacifista. Ma anche, all’interno, la nuova alleanza tra nazionalismi nostalgici e revanchismi religiosi, dimentichi dei moniti di Ratzinger contro il “moralismo (…) che intende realizzare da sé le cose di Dio”. E infine, forse più pericoloso di tutti, un diffuso pessimismo, che sottomette i cuori al furore della logica di potenza. L’urgenza pacifista, per non essere utopismo o copertura di tatticismi politici, deve prendere coscienza della sfida dei tempi, ed ergersi in difesa di quel grande progetto di pace che è stato l’UE, lavorando attivamente per il suo compimento, con la coscienza che il compromesso “è la vera morale dell’attività politica”. La mole dello sforzo propagandistico non può cancellare la realtà storica dell’UE né può farlo il dumping politico degli ultimi vent’anni. Non esistono progetti transnazionali non violenti come l’UE negli ultimi tremila anni. L’idea che si possa rifiutare questo progetto per aver ceduto a tentazioni ordoliberali è deplorevole. L’esaltazione, in alternativa, dello stato-nazione – progetto massonico – come soggetto moralmente superiore, è risibile. Auspicare di diventare vassalli di lontane potenze colonialiste è abominevole. Soprattutto, cedere al pessimismo o ai rimpianti reazionari sarebbe tradire l’eredità storica di chi ci ha preceduto, tra cui in particolare Alcide De Gasperi.

Rileggere De Gasperi

Rileggere De Gasperi di questi tempi è di grande aiuto per resistere alla propaganda e prendere coscienza del compito storico della nostra generazione, per la costruzione definitiva dell’UE come soggetto politico. La prima tentazione che De Gasperi dovette affrontare fu proprio quella della “concezione pessimistica” dell’idea europeista. Come dichiarò in un memorabile discorso al Senato del 1950 (quanto mai attuale): “Vi pare veramente educativo, pedagogico, di mettere in ridicolo quest’idea, di minimizzarne l’importanza, di considerarla come una costruzione del tutto ipotetica, senza nessuna base? (…) A me pare di no. Ricordo nel passato una conferenza interparlamentare all’Aja, nel 1911, in cui (…) mi lamentavo che dai gruppi cattolico-conservatori, come erano chiamati allora, non si inviasse nessuno a collaborare a questo sforzo di pace”.
L’altra grande tentazione deplorata da De Gasperi era invece di matrice culturale, e ricorda le posizioni di Vance e seguaci, ricattati dall’illusione di una ‘Cristianità’ politica: “Cosa vogliono coloro che parlano di clericalismo, coloro che riprendono il concetto dell’impero di Carlo Magno a proposito di questa nostra federazione che si basa sul principio del suffragio universale? Questa federazione non sarà mai una congrega ristretta dal punto di vista confessionale”.

De Gasperi e Ventotene

Per De Gasperi invece l’apertura a quel che è vero e giusto nella parzialità è molto più realistica di un astorico massimalismo. Non bisogna distruggere quello che c’è perché non è Cristiano ma contribuire a costruirlo. E costruire l’UE significava per De Gasperi accettare la sua pluralità culturale, religiosa, persino psicologica, e coinvolgersi in essa, con la positività della minoranza creativa, non la frustrazione di chi vorrebbe essere maggioranza. La posizione di De Gasperi rivela anche la vacuità dell’attuale dibattito sul Manifesto di Ventotene, di cui lui stesso non condivideva l’impostazione. Eppure fu proprio lui, nella logica dello sforzo democratico, a valorizzare il ruolo dell’azionisti di Ventotene, rivolgendosi a loro in un grato e appassionato discorso, cosciente delle differenze, ma anche dell’obiettivo comune.

Nello stesso discorso De Gasperi ridimensiona anche una certa retorica pacifista: parlare di pace e di disarmo può essere anch’esso un atto bellicoso, contrario all’invito del papa a disarmare innanzitutto le parole e le menti. “Noi vogliamo veramente la pace e, mentre diciamo di volerla, lavoriamo per unire l’Europa; altri, mentre dicono anch’essi di raccogliere firme per l’abolizione della bomba atomica e per assicurare la pace, lavorano per dividere il mondo”. È solo nell’ottica europeista di De Gasperi che si può (e si deve) criticare il riarmo europeo (una reazione scomposta al bullismo di Trump, ancor basata su una logica nazionalista). Perché l’idea di un esercito europeo in sé non è in opposizione alla pace, ma semmai esattamente l’opposto: “Non si tratta poi soltanto di impedire la guerra fra noi ma anche di formare una comunità di difesa, che abbia a suo programma non di attaccare, non di conquistare, ma solo di scoraggiare qualsiasi attacco dall’esterno in odio a questa formazione dell’Europa unita”.

Franco Minerva

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