Lacrime della forza, quelle versate da Teresa Bellanova in diretta, parlando della regolarizzazione dei migranti. Lacrime di gioia e di dolore per una battaglia – “rendere visibili gli invisibili”, che ha segnato la vita del Ministro delle Politiche agricole. Segno prorotto e prorompente della soddisfazione politica e umana di chi ha vinto la sua battaglia dentro e fuori il governo, dentro e fuori la politica. «Se noi facciamo emergere questo lavoro di regolarizzazione dei permessi di soggiorno non saranno costi per l’Italia, saranno entrate: perché i rapporti di lavoro irregolare privano lo Stato anche della contribuzione, oltre che togliere alle persone i loro diritti e la loro dignità. Quindi io non mi spaventerei dei numeri: se saranno 500-600 mila saranno i benvenuti, perché saranno persone che noi avremo tirato fuori dai ghetti e li avremo portati a vivere nella condizione della legalità e del riconoscimento della loro identità», dice a coronamento del decreto.
E a chi la prende in giro perché ha pianto, risponde a muso duro: «È vero. Ho pianto. Ho faticato, ho combattuto, e alla fine ho pianto. Hanno accostato le mie lacrime ad altre lacrime: le hanno riportate ad un genere, quello femminile. Io invece ho avuto la forza di piangere – sì, la forza – perché ho fatto una battaglia per qualcosa in cui credevo sin dall’inizio, perché ho chiuso il cerchio di una vita che non è soltanto la mia, ma è quella di tantissime donne e uomini che come me hanno lavorato nei campi…». Bellanova quei ghetti di campagna, in cui il caporalato dà vita al nuovo schiavismo dei braccianti, lo conosce molto da vicino: a 14 anni usciva di casa all’alba per andare a raccogliere l’uva nelle campagne del brindisino. Dall’incassettamento dell’uva da tavola alle prime riunioni sindacali, il passo è stato breve. Già adolescente divorava tutti i libri e i giornali che le capitavano a tiro. Le sue coetanee si innamoravano delle celebrities di Hollywood, lei guardava a Giuseppe Di Vittorio.
Va a scuola fino alla terza media. “Non ne sono orgogliosa”, dirà alla Gruber. La disciplina l’ha imparata prima nei campi, dove la fatica per le donne raddoppia, poi alla Camera del Lavoro di Brindisi. Lì trovava sempre una copia de L’Unità, che a fine riunione portava a casa. Un modo per imparare a leggere non solo il testo ma il contesto. A trent’anni diventa segretaria provinciale della Federazione Lavoratori Agroindustria (Cgil) di Brindisi. Prima donna, per giunta giovane, a capo di un sindacato tutto al maschile, nel Mezzogiorno. Oggi si presenta alle porte del Ministero alle 7.30 del mattino, spesso prima che siano arrivati gli uscieri. La sveglia a casa suona alle 5.30, la colazione si riduce a un caffè. E si immerge nelle rassegne stampa, poi nella lettura avida, assetata dei quotidiani. «Ne legge almeno dieci ogni mattino», ci racconta la sua Capo segreteria, Alessia Fragassi, che la accompagna da anni. Mette un’energia assoluta in tutto quel che fa, credendoci tanto da coinvolgere chi la circonda. «Non si rimanda mai a domani quello che si può fare oggi», ripete sempre.
È una stakanovista. Al Ministero non erano preparati ai suoi ritmi. Negli ultimi giorni sono rimasti tutti convocati fino alle due di notte. Raramente si torna a casa prima delle 23. Un foglio bianco, pronto a essere firmato con le dimissioni, è rimasto sulla sua scrivania tutta l’ultima settimana. Al suo staff ha detto «Siamo in una partita esiziale, vinciamo o andiamo a casa». Fa sempre sul serio. Come quando ha deciso di lasciare il Pd – lei che colleziona tutte le sue vecchie tessere Pci – per seguire Matteo Renzi. Un incontro di affinità incredibile tra due anime dalla storia molto diversa. Mai avuto un ripensamento. «Ascolta Renzi, ma decide da sola e non cambia idea», dicono di lei. L’uomo con cui si confida è un altro. Si chiama Abdellah El Motassime, marocchino di Casablanca. È stato il suo interprete durante un viaggio nel 1988 con la Flai Cgil in tema agroalimentare, ed è stato subito colpo di fulmine. Convolati a nozze nel marzo ’89 e da allora profondamente uniti. «Vivono in connessione profonda», dice chi li conosce più da vicino. «È un punto di forza: lei sa di essere sostenuta in qualsiasi momento da un uomo umanamente esemplare, che ha una cura e un accudimento fortissimo nei suoi confronti».
Il loro unico figlio, Alessandro, studia medicina e non vuole saperne di fare politica: «È un modo diverso per dedicarsi agli altri». Era lui ad accompagnarla al Quirinale per il giuramento da ministro, quello con l’abito blu costato indecenti polemiche. «Che non la feriscono», ci raccontano i suoi. «Ne ha viste e sentite tante, nella vita. Sa come rispondere a tono». E a proposito di risposte, ne ha per tutti. Il cerimoniale del Ministero le ha contestato i biglietti da visita. «Ministro, lei non può far stampare il suo numero di cellulare personale, altrimenti la chiamerà chiunque», le hanno fatto notare. Lei non ha fatto una piega. «Chi vuole chiamarmi, mi chiami». E ha messo il suo numero, senza schermi. Eletta deputata, trasferitasi da Lecce a Roma, si è trovata una casa vicino alla fermata del tram. E per andare a Montecitorio lo ha preso tutti i giorni.
Sale sul tram con la mazzetta dei giornali e qualche libro. Ha finito da poco di leggere la trilogia di Elena Ferrante. Storie di miseria e di riscatto, di ragazze del Sud. Storie che le ricordano le cicatrici che ha addosso. Con il tram che prende passa accanto al Nuovo Sacher di Nanni Moretti, di cui conosce i film a memoria, come quelli di Ken Loach. L’altra sera è tornata a casa, dopo la conferenza stampa di Palazzo Chigi, senza festeggiamenti. Ha abbracciato il figlio e il marito. Lo staff che ha lavorato dietro le quinte conosce la cifra della sobrietà: «Ci ha detto di riposare per tornare l’indomani pronti, il lavoro non è ancora finito». I Cinque Stelle masticano amaro e sembra che Di Maio sia pronto, a partire dagli Stati Generali, a sfidare lo stesso Conte pur di rovesciare l’intesa sulla regolarizzazione.
Ma ieri il cellulare di Teresa Bellanova non ha mai smesso di squillare. L’hanno chiamata in tanti, per congratularsi, da Beppe Sala alla ministra Lamorgese, con cui questo successo è condiviso. E Emma Bonino l’ha voluta con sé per una diretta Facebook, entrambe emozionate. Una marea di messaggi le è arrivata dai vertici del Pd: «Brava, non hai mollato». Quello che le ha detto anche Giuseppe Conte, come lei pugliese, nato a mezz’ora di strada dalla Cerignola di Giuseppe Di Vittorio. Nel suo segno, è nata una nuova leader.