Caro direttore,
ti confesso che ho seguito distrattamente le baruffe chiozzotte in casa Cinquestelle, triste epilogo di uno dei capitoli più surreali della storia politica italiana nel passaggio di secolo. Mi interessa di più capire se il suo attuale inquilino, oggi chiamato addirittura a rifondarla, possa essere un alleato affidabile del Pd e, in ogni caso, un credibile leader “progressista”. Potrà ricavare la mia risposta dalle seguenti considerazioni, che prescindono dalla cronaca di questi giorni.

Nella sua “Storia dell’Italia repubblicana” lo storico Silvio Lanaro definisce il qualunquismo “[…] come supremazia dei ghiribizzi del gusto sui sudori dell’intelletto, come libertà di pensiero disancorata da categorie culturali troppo impegnative ed esigenti, come indisciplina sociale screanzata e popolaresca, come assimilazione delle fandonie del passato alle frottole del presente, come nostalgia di un senso comune spazzato via dall’invadenza delle visioni del mondo”. È un formidabile ritratto del movimento politico fondato dal commediografo Guglielmo Giannini nel 1944, a giudizio di chi scrive l’avo più autentico di quello fondato dal tecnologo Gianroberto Casaleggio e dal comico Beppe Grillo nel 2009.

In questo senso, si può ben dire che il M5s di Giuseppe Conte, con le sue idee semplici, le passioni elementari e le furbizie da azzeccagarbugli, ne è il legittimo erede. Ecco, allora un giorno i Bersani, Zingaretti, D’Alema e, scendendo per li rami, i Bettini, Franceschini, Speranza, Schlein, ci dovranno spiegare l’abbaglio preso per un personaggio che, dopo il suo esordio sulla scena pubblica con un curriculum taroccato, è stato definito da Grillo “senza visione politica e capacità d’innovazione”. Un personaggio che è, insieme, tesi, antitesi e sintesi. Di destra, di centro e di sinistra. Filocinese, filoamericano e filorusso. Concavo e convesso, avvocato del popolo e di clienti facoltosi. Da premier ha aumentato la spesa militare, e ora predica la buona novella pacifista. Tutto e il contrario di tutto, insomma. Ricorda una celebre battuta di Groucho Marx: “Signori, questi sono i miei princìpi. E, se non vi stanno bene, ne ho degli altri”.

Indegno erede della tecnica del travestimento inventata dal mussoliniano Leopoldo Fregoli (che però era un artista straordinario), le “trasformiste apulien” ricorda il generico che passa da un film all’altro, senza nemmeno cambiarsi la truccatura, ritratto da Ennio Flaiano: “È un saggio a Tebe, un arconte ad Atene, un consigliere alla corte dei faraoni, un sacerdote a Babilonia. A Creta è un guardiano del labirinto, nell’Olimpo è Saturno, in Galilea un apostolo. Mi chiede un piccolo prestito. -Non stai lavorando?, gli domando. Allarga le braccia, desolato: -Dovrei fare un senatore, ma a settembre!” (“Europeo”, luglio 1958). Conte senatore poi lo è diventato, e oggi tiene ancora per la coda un partito che ha molti più voti del suo impartendo grottesche lezioni di moralità politica. Sindrome di Stoccolma o semplice autolesionismo? Cordiali saluti.