Robert Junior era uno di quei bambini tristi e stupiti fra le braccia della disperata madre Ethel Skakel, quando il loro papà, Bob Kennedy fu assassinato mentre era in campagna elettorale nel 1968, come prima di lui era stato assassinato il fratello maggiore John Fitzgerald.

Nel famoso immaginario collettivo che in genere sbaglia, gli undici piccoli Kennedy figli di Robert ce li immaginavamo tutti di sinistra. E invece, eccolo qui nel governo, “the cabinet”, di ministro ovvero Segretario alla Salute pubblica con potere straordinario di controllo su tutte le agenzie e centri per tutte le malattie. Ognuno dei singoli Stati ha poi la sua politica. Dov’è la notizia: il cucciolo Kennedy si è rivelato un no-vax. E dunque (una relazione c’è sempre ma non si capisce) è contrario ad aiutare l’Ucraina e anzi ne vuole la capitolazione. Robert è un uomo ambizioso e un ottimo opportunista: ha fatto una campagna elettorale prima per sé, come democratico, poi per Kamala Harris ma facendo sapere a Trump di essere pronto a passare dalla sua e lo ha fatto con l’entusiasmo di Donald e il piacere di Elon Musk.

Dunque, Trump è felice di avere un no-vax in famiglia e del resto quando scoppiò il Covid“il virus cinese” – Donald fece alcune cose geniali e altre catastrofiche. Fra le geniali ci fu un gigantesco finanziamento all’industria farmaceutica che nel suo complesso realizzò dei vaccini anch’essi geniali – quelli che abbiamo usato tutti – di cui il mondo avidamente si approvvigionò insultando allo stesso tempo l’America trattandola come una potenza diabolica nelle cui mani sarebbe stato il potere di salvare o uccidere. Soltanto gli inglesi fabbricarono un vaccino valido, ma che fu poi ritirato. La Russia di Putin fece un vaccino, lo Sputnik, che tutto il mondo o quasi rifiutò perché era figlio solo della propaganda. Gli Stati Uniti quando scoppiò la pandemia andavano a gonfie vele e la ricetta Trump sembrava funzionare: gigantesco taglio delle tasse a chi fabbrica ricchezza per indurre gli industriali a creare nuove aziende e centinaia di migliaia di jobs, posti di lavoro. In America la magica parola “job” non vuol dire però soltanto posto di lavoro, ma stato di salute dell’Unione, dell’intera nazione americana ed è anche un sentimento popolare.

Ricordo la costernazione e il lutto degli americani quando in aereo si sorvolava Detroit, capitale dell’industria automobilistica, e Detroit era spenta, buia e giallastra a causa della grande crisi degli anni Ottanta. Quindi “job” vuol dire successo, popolarità e un elemento dell’etica protestante secondo cui lavoro e ricchezza vanno insieme e la crudele domanda che si fa al povero (non solo in Usa ma anche nella Francia ugonotta) è: “Che cosa hai fatto tu di male per meritare la povertà?”. La famiglia Kennedy – la più cattolica e prolifica perché irlandese – con John capovolse il paradigma e promise sostegno a chi è povero, fermo restando che “non devi mai chiedere che cosa ha fatto l’America per te, ma che cosa hai fatto te per l’America”. Sui giornali è una rubrica fissa l’aggiornamento dei numeri: quanti new jobs sono stati creati e quanti ne sono stati persi.

Da noi in Europa è difficile capire come sia un fatto temuto ma reale triste, il taglio dei posti di lavoro dal mattino alla sera. Ci sono criteri e categorie che indicano chi è destinato a cadere per primo, ma capita a quasi ogni americano il brutto giorno in cui arrivi in ufficio o in fabbrica e ti viene detto che il tuo job è stato cancellato e che tu sei un disoccupato e tornerai a casa con un’angoscia nel cuore. Certo, se sei stato previdente hai una assicurazione per sopravvivere, ma la mentalità americana è quella di fare poche lagne e sostenere chi crea posti di lavoro. Trump perse la popolarità e la Casa Bianca quando il Covid aggredì il lavoro, le industrie e i job.

Fu allora che Trump annaspò: aveva spalleggiato le aziende farmaceutiche nello sforzo di produrre vaccini con la massima celerità, ma la gente moriva lo stesso e i posti di lavoro morivano. Il panico di Trump, come quello in Inghilterra di Boris Johnson, si trasformò in ideologia: non bisognava permettere al “virus cinese” di averla vinta e non bisogna fare altri lockdown, si deve seguitare a produrre e al diavolo gli epidemiologi o semplicemente i medici. Fu allora che, prima in America e poi in Europa e in Cina, si sviluppò l’infernale mentalità secondo cui la medicina come scienza in continua evoluzione fu portata sotto la ghigliottina popolare. Cominciarono a diffondersi foschi racconti sui danni letali dei vaccini e il resto è storia nota. Per una non chiara connessione politica, in genere i no-vax sono favorevoli a Putin e hanno un latente disprezzo per gli ucraini benché siano stati invasi, falciati in casa dalle mitragliatrici russe e tuttavia guardati con rancorosa antipatia dai trumpiani. È di ieri la notizia secondo cui anche i tedeschi di Olaf Scholz hanno fatto sapere a Putin che nel nuovo ordine amaricano la guerra in Ucraina deve chiudersi prima ancora che Trump faccia il suo ingresso trionfale a White House, perché così vuole la nuova dottrina americana.

Il motivo per cui Robert Kennedy non è più un detestabile rampollo della aristocrazia Dem, ma un naturale compagno di strada per i repubblicani modello Maga, sta anche nel fatto che Robert Kennedy rappresenta quell’America che riconosce a Trump di aver avuto ragione nell’opporsi alla medicina tradizionale dando spazio a tutte le bizzarrie che hanno sconvolto o danneggiato la cultura scientifica americana. Robert è il comandante in capo della salute americana ma al tempo stesso è un cultore della diffidenza per la medicina “ufficiale”. Infatti, il nuovo ministro (non ancora ufficiale) ha una sua concezione esoterica che dà spazio a tutte le  pseudoscienze e false medicine, ma va bene così: c’è spazio per tutti e Trump avrà un forte alleato in caso di pandemie e qualsiasi disastro che possa minacciare la produzione industriale.

Queste nuove idee trumpiane sono ancora da mettere alla prova dei fatti, ma il Presidente eletto ha a disposizione un apparato comunicativo come non se ne era ancora visto uno, ed è un dato di fatto che l’Europa, presa di contropiede, dopo un primo moto di sconforto non sembra in grado di capire come tutti gli elementi del trumpismo siano fra loro connessi scontrandosi con le vecchie posizioni sia di sinistra che di destra. Trump è un cultore delle trattative da posizioni di forza: a Putin (si apprende da fonti diplomatiche tedesche) il nuovo presidente ha consigliato di non tentare colpi di mano perché gli Stati Uniti hanno forze in Europa sufficienti per fargli passare la voglia.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.