L'intervista
Roberto Bucaneve: “Alle imprese piccoli aiuti ma pochi investimenti: così la ripresa è difficile”
Roberto Bucaneve è direttore di Centromarca, l’associazione dell’industria di marca che mette insieme colossi del calibro di Barilla, Ferrero, Mutti, Unilever e circa 200 tra le più importanti aziende nei settori dei beni di consumo immediato e durevole. Gli abbiamo chiesto una valutazione sulle misure adottate dal governo e sulle prospettive del mercato.
Avete denunciato due necessità: la carenza di liquidità e la necessità di misure per il rilancio. Con l’ultimo decreto si è imboccata la strada giusta?
Sarebbe presuntuoso dare giudizi affrettati, ma alcune considerazioni sia positive che negative possono essere fatte. Le buone notizie sono: l’abolizione delle clausole di salvaguardia Iva, che negli ultimi anni hanno generato incertezza nei nostri segmenti di mercato, l’intervento sulla riduzione dell’Irap e la temporanea sospensione della plastic tax e della sugar tax. È un bene che si sia andati oltre l’idea che la tassazione al consumo sia una leva su cui fare cassa.
Cos’è che invece non va?
La bilancia pesa più sulla parola ristoro che sulla parola rilancio. Questo non vuol dire che il ristoro non sia necessario però quello che viene fuori è più una politica di risarcimento che una politica di investimenti.
Perché bisognava puntare più sul rilancio?
Perché in qualsiasi segmento imprenditoriale il futuro sarà fatto di costi crescenti e minor produttività sia del capitale investito che del lavoro. In un sistema in cui cambiano questi equilibri, le aziende hanno bisogno di investire. E le risorse che vengono dal pubblico per gestire il rilancio potrebbero aiutare le imprese a raggiungere questo nuovo equilibrio.
La liquidità alle aziende sta arrivando?
Il tema della mancanza di liquidità sui conti correnti delle aziende è un grande problema. E la burocrazia è l’ostacolo principale. Su questo problema della burocrazia, dei meccanismi operativi, noi abbiamo una marea di fondi, di iniziative, di investimenti infrastrutturali, già finanziati e mai cantierati.
In pratica la burocrazia è ciò che non consente alla carta di trasformarsi in denaro e viceversa?
Esattamente.
Il Riformista, anche per voce di alcuni vostri associati, aveva denunciato da subito i problemi legati alla mancanza di manodopera nel settore agricolo. Con la sanatoria si risolverà il problema in agricoltura?
Il fatto che ci sia una situazione di illegalità in certi tipi di lavorazioni, soprattutto legate all’agricoltura, e che il governo prenda misure per superarle, è un fatto che noi giudichiamo positivamente.
Qualcuno proponeva di far lavorare i percettori di reddito di cittadinanza invece di procedere con la sanatoria.
Le due cose non sono alternative.
Avete notato dei cambiamenti nelle abitudini di consumo degli italiani?
Le tendenze che abbiamo notato finora sono queste: più ingredienti e meno preparazioni. Quindi più farina, latte e burro piuttosto che preparati per le torte già pronte. Meno prodotti ready to eat e più preparazioni di base. Più confezionato, per esempio negli affettati, e meno sfuso visto che legato al tema del confezionato c’è il tema della fiducia e della garanzia igienico sanitaria. Registriamo una preferenza per le grandi marche rispetto a quelle intermedie. Si è anche ridotta la dimensione esplorativa nel provare marche che non si conoscono.
Quali categorie sono andate meglio e quali peggio?
In uno stesso segmento si registrano dinamiche opposte. Ad esempio gli igienizzanti, i prodotti per la pulizia casa, hanno avuto un boom straordinario. I deodoranti al contrario sono andati malissimo perché se la gente non va più a correre ed esce meno di casa ne ha meno bisogno. Stessa cosa per la cosmetica. La sfida che abbiamo davanti a livello di mercato è capire quanti di questi trend hanno la forza di durare e quanti invece finiranno. L’attenzione all’igiene della casa, ad esempio, riteniamo che rimarrà.
Lo scenario atteso che abbiamo davanti presenta difficoltà significative. Il reddito disponibile delle famiglie nel medio termine sarà inferiore. Ci saranno difficoltà occupazionali. È necessario avere un sistema economico che supporti le nostre imprese sia sul mercato interno che verso l’estero.
Sull’export c’è stato un calo?
Sì. La continuità della filiera di distribuzione è stata un po’ strozzata. Se ti bloccano i camion con i prodotti che mandi fuori alla fine il prodotto non ci arriva. Questo ha generato un po’ di difficoltà. La crisi ha però rimesso al centro l’importanza della manifattura e il valore del contributo che l’industria dà affinché i prodotti arrivino sugli scaffali.
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