Magistrati pronti a tutto per sabotare la nomina
Roma, il Csm fa la guerra a Viola: “La Procura è cosa nostra, resta Prestipino”
La strada per la Procura di Roma è stata sempre in salita ed irta di ostacoli per Marcello Viola. La scorsa settimana abbiamo raccontato del contenzioso amministrativo posto in essere dal procuratore generale di Firenze contro la nomina di Michele Prestipino. Forte di due sentenze favorevoli, Viola è ancora al palo.
Il Consiglio superiore della magistratura ha deciso di rinviare la discussione quando sarà chiara la posizione dell’altro ricorrente, il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi. Quindi almeno a dopo l’estate. Viola, però, vuole andare avanti e non ha intenzione di mollare la partita per la Procura di Roma facendosi prendere per sfinimento, accettando, come si vocifera da più parti, lo scambio con la Procura generale di Palermo una volta che Roberto Scarpinato sarà andato in pensione. Dopo aver notificato la sentenza del Consiglio di Stato che gli dava ragione, il pg di Firenze ha già pronto il prossimo passaggio: una “intimazione ad adempiere” rivolta al Csm, con l’indicazione di un lasso temporale entro il quale procedere al riesame della pratica. La Repubblica, in un articolo apparso lo scorso fine settimana, pur non conoscendo le future mosse di Viola, ha messo le mani avanti, evidenziando come il Csm potrebbe comunque riproporre Prestipino. Sarebbe una scelta alquanto azzardata dal momento che il Consiglio di Stato è entrato in profondità, non limitandosi a sottolineare una carenza di motivazioni da parte del Csm nella scelta di Prestipino.
Due i punti fermi. Il primo: un procuratore aggiunto, come era Prestipino, non può essere paragonato ad un procuratore della Repubblica e a maggior ragione a un procuratore generale sotto il profilo delle competenze organizzative dell’ufficio. Il secondo: non esiste il radicamento territoriale. Il pezzo forte della motivazione pro Prestipino, storico collaboratore di Pignatone, riguardava la conoscenza dei fenomeni criminali della Capitale che lo rendevano prevalente nei confronti di Viola pur essendo stato quest’ultimo il capo di una in Procura terra di mafia come quella di Trapani. In attesa delle contromosse del Csm, tornano in mente in queste ore le parole pronunciate dall’allora togato Luigi Spina, intercettato con il trojan mentre parlava con lo zar delle nomine Luca Palamara: «L’unico che non è ricattabile è Viola».
Le indagini di Perugia non hanno mai approfondito questo aspetto. Sarebbe interessante sapere a quali ricatti si faceva riferimento e chi erano i ricattatori. Il fatto che la figura di Viola fosse ingombrante e che alcuni pm della Capitale non lo volessero a capo della Procura, come racconta l’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati, non è una novità. C’è un episodio poco conosciuto che merita di essere ricordato e che rischiò di affossare ancora prima dell’hotel Champagne la corsa di Viola per la Procura di Roma. Viola nel 2015, allora procuratore di Trapani, stava svolgendo in prima persona delle indagini sulle infiltrazioni mafiose nella Pubblica amministrazione. Per avere dei riscontri, decise di chiedere ad un appuntato della guardia di finanza, persona di fiducia del procuratore aggiunto di Palermo Teresa Principato, alcuni atti relativi ad un pentito, contenuti nel pc del magistrato.
Fra Viola e Principato esisteva da anni uno rapporto di collaborazione. L’appuntato, però, nel frattempo viene indagato da parte dei suoi colleghi per fatti che nulla hanno a che vedere con la mafia. Durante la perquisizione del telefonino gli trovano un sms in cui si fa riferimento alla consegna a Viola di “atti sulla latitanza di Matteo Messina Denaro”. Sia Viola che Principato vengono immediatamente indagati dalla Procura di Caltanissetta per rivelazione del segreto d’ufficio con l’aggravante di aver favorito Cosa nostra. Secondo i pm nisseni lo scambio di atti coperti da segreto investigativo fra Viola e il finanziere avrebbe potuto violare un “protocollo” di coordinamento fra gli uffici giudiziari e, di conseguenza, danneggiare le indagini della Dda di Palermo per la cattura di Messina Denaro. Ultimati gli accertamenti i pm di Caltanissetta decidono di archiviare sia Viola che Principato. Il gip non è dello stesso avviso e dispone l’imputazione coatta per entrambi. Un procedimento pendente sarebbe di ostacolo per la nomina a procuratore di Roma.
Si arriva, allora, alla primavera del 2019, qualche settimana prima del voto da parte della Commissione per gli incarichi direttivi, quando il secondo gip decide di archiviare. «Non è necessario formalizzare lo scambio di atti fra le i vertici delle Procure di Palermo e Trapani», si legge nell’archiviazione. La collaborazione in questione aveva ad oggetto proprio gli atti richiesti da Viola e, pertanto, «nell’ambito di questo coordinamento è assolutamente legittimo chiedere gli atti direttamente alla pg per prassi consolidata in tale senso». Un reato ritenuto “evidentemente insussistente” ma che avrebbe potuto affossare Viola.
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