Il ministro dell’Interno usa toni solenni ma rassicuranti. “Il 10 ottobre abbiamo rafforzato tutti i dispositivi di osservazione e controllo riferiti agli obiettivi sensibili presenti sul territorio nazionale”. Spiega che il livello di attenzione è stato “innalzato” e che sono state rafforzate le “misure di prevenzione generale, con particolare riguardo alle aree di maggior transito (stazioni, centri commerciali, ndr) e all’adozione di misure di difesa passiva dei siti sensibili”, cioè sono cresciute le pattuglie sul territorio. Fateci caso: alla stazione Termini sono rispuntati in alto, sui ballatoi i tiratori scelti, gente addestrata all’osservazione capillare di ciò che succede intorno e pronta ad intervenire. In questi dieci giorni il ministro Piantedosi ha convocato almeno un paio di volte il Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica e, soprattutto, è riunito in via permanente il Casa, il centro analisi strategiche dell’antiterrorismo, tavolo dove siedono tutti i titolari della pubblica sicurezza, forze dell’ordine ma anche servizi segreti, i gruppi speciali che operano in carcere (luoghi da sempre, considerato l’alto numero di popolazione islamica ristretta), la magistratura.

Il Casa nacque dopo gli attentati di Londra nel 2005, idea dell’allora capo della Polizia Gianni de Gennaro e del capo dell’Antiterrorismo Carlo De Stefano. È il nostro jolly rispetto agli altri paesi. C’è stato il tentativo in questi anni di istituire un Casa europeo. Non ci siamo riusciti: troppe gelosie e ritrosie a condividere informazioni sensibili. Il Casa però fa la differenza. In Italia. Come il fatto che le nostre polizie, le Digos, i Ros, i vari reparti speciali, sono nati e cresciuti dando la caccia al terrorismo interno politico, ai boss mafiosi e ai clan. Una storia investigativa che ci ha “regalato”, a caro prezzo di morti e feriti, una capacità investigativa che gli altri non hanno. Gli arresti ieri mattina a Milano ne sono la conferma: due egiziani, uno di seconda generazione, sono stati arrestati con l’accusa di terrorismo. La Digos di Milano li “seguiva” da tempo, sapeva tutto di loro, dove agivano e cosa facevano. Visto il clima e il contesto è stato utile agire subito. Inutile rischiare azioni magari anche solo dimostrative solo per rafforzare il quadro probatorio e per avere di più sulla eventuale rete di appoggio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Insomma dal 7 ottobre, il giorno della furia terroristica di Hamas, il Viminale ha resettato i servizi di sicurezza su ben 28 mila obiettivi sensibili in tutto il paese, quattro mila solo a Roma, 250 quelli ebraici. Ma come sappiamo l’appello alla guerra santa – questo è stato l’invito di Hamas venerdì 13 al “venerdì della rabbia” – ha indicato anche obiettivi americani, europei, tutto coloro che “alleati di Israele” ostacolano la nascita di un nuovo stato islamico dieci anni dopo Isis e venti dopo Al Qaeda. Tutti progetti falliti. A caro prezzo però. Piantedosi ieri ha parlato alla Camera dopo l’attentato di Bruxelles (lunedì sera) e quello ad Arras in Francia venerdì scorso quando un giovane ventenne ceceno ha ucciso il professore di scuola con un coltello urlando Allah u akbar. Dopo gli arresti di Milano. L’oggetto dell’interrogazione erano Lampedusa e gli sbarchi. Ma inevitabile parlare di terrorismo visto che il tunisino killer di Bruxelles era sbarcato in Italia, a Lampedusa, nel 2011, era riuscito a raggiungere la Svezia che però lo ha espulso due volte. Ci sono tracce di lui a Bologna nel 2016 e anche a Genova in zona porto ma viveva in Belgio come illegale. Il Casa “è in grado di tracciare i movimenti e la sua presenza in Italia. Vediamo se sono in grado di farlo anche i belgi. È necessario ricostruire la sua rete. Ammesso che l’abbia”.

Ma torniamo al ministro dell’Interno e ad una minaccia che “richiede un elevatissimo livello di attenzione perché spesso impalpabile, fluida e non sempre definibile”. Cioè, per come sono organizzati i soldati – tra cellule dormienti e lupi solitari, possono entrare in azione quando vogliono e decidono. Dal 2001 l’Italia è in allerta permanente. C’è un sistema soprattutto di acquisizione e di analisi delle informazioni rodato in anni e anni di indagini. Che è stato in grado di adeguarsi alla riorganizzazione della minaccia islamica. Fino al 2004-2005 governava una struttura centralizzata e piramidale. Poi sono passati al franchising. Molto più difficile da intercettare. Così le indagini mescolano sigint (signal intelligence) visto che buona parte degli indizi nascono setacciando il deep web, e human intelligence, gli uomini che poi materialmente fanno matchare gli indizi. Non è detto che basti. Finora è bastato. Di sicuro “il grilletto” schiacciato da Hamas all’alba del 7 ottobre, e lo strazio di immagini e dolore che ne sta seguendo, è un inedito assoluto. Una minaccia nuova di cui ancora non conosciamo la proporzionalità della risposta.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.