Ha ragione Luigi Manconi quando, a proposito di Sanremo, scrive che “la rassegna canora andrebbe imposta come materia di studio obbligatoria a quanti rivestono qualsiasi mansione pubblica”. Nell’articolo per Repubblica dice anche che guardando Sanremo il ministro della Cultura Sangiulianoavrebbe scoperto che lo scacco culturale della destra non si deve al fatto che la sinistra abbia ostacolato la pubblicazione delle opere di Benedetto Croce perché ritenuto troppo conservatore. La marginalità della destra si deve, piuttosto, alla sua estraneità ai grandi processi di trasformazione culturale del Paese”.

Siamo nella zona del concetto di nazional-popolare “ancorché abusato – dice Manconi – si confà perfettamente al Festival…”. Una lettura, quella dell’ex senatore, più che condivisibile. Basti pensare alle polemiche di questi giorni, ma soprattutto a quello che è successo nel mondo della comunicazione. Se la politica si è fatta spettacolo (per esempio nei vari talk show) lo spettacolo si fa politica e diventa luogo del conflitto. Debord spiegava negli anni ‘70 come, con il tempo, il conflitto di classe si sarebbe spostato nell’immaginario.

E niente è più immaginario di Sanremo. Questo vuol dire che siamo nell’Olimpo del sapere? Che Sanremo è da osannare? No, in quanto specchio della società, ci spiega meglio di tanti saggi quello che sta accadendo: immobilismo, trasformazioni, stereotipi e nuove identità, tutto si mescola e deve essere interpretato. Nessuna esaltazione, ma uno sguardo che possa e sappia leggere quello che sta accadendo. Comprese le novità, come quelle incarnata da Chiara Ferragni che ha portato per la prima volta sul palco i centri Di.Re. Di violenza si parla spesso, ma sempre puntando sulle vittime, sul momento della fragilità. Questa volta davanti al pubblico invece ci sono state le donne che combattono contro la violenza. È stata messa in scena la loro forza.

La vittoria dei Fratelli d’Italia alle scorse elezioni non può esaurire il discorso su che cosa sia diventato questo Paese. In scena a Sanremo c’è una realtà che contrastata con quella vittoria e quella cultura. La rabbia di Salvini si spiega anche così. Lui non guarderà oggi la puntata finale ma la guarderanno molti ragazze e molte ragazze – il numero dei giovanissimi in questa edizione è aumentata anche per il massiccio uso dei social – e tra i cantanti sentiranno e vedranno per esempio Rosa Chemical, che propone una sonora presa in giro del cosiddetto Made in Italy (titolo della sua canzone) a cui contrappone la libertà di mettersi il rossetto anche se “maschi” e di essere perversi. Le nuove generazioni sono già da un’altra parte.

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