All’armi son “semifascisti”, come grida Calenda? Le divise inneggianti al Führer le indossano ancora? Dal governo affiorano nuovi emuli di Galeazzo Bignami, il ras di Bologna che ha lanciato la moda di lasciarsi immortalare in gran spolvero con abiti anni Trenta-Quaranta addosso. Tra tutti spicca ora il loquace sottosegretario piemontese di via Arenula, che però all’uniforme classica preferisce la più moderna t-shirt. Era solito cantare sulle note di bande “nazi-rock” ficcate nelle orecchie, con il mito del capitano Priebke scolpito nella testa.

Ma i nuovi “capi” vanno adesso reclutati, dicono i documenti ufficiali, solo attraverso una scuola modello Masterchef, non certo accarezzando i miti della violenza di piazza. In tanti ancora si avventurano nei viaggi della memoria a Predappio, il sogno di oggi è però il liceo del “made in Italy”, dove il cimento supremo per acquisire il merito si svolge nella prova del cuoco. I confini sacri della patria si difendono non più con il moschetto e gli scarponi di cartone, ma con i rigatoni e l’olio (non di ricino) quali simboli al dente del sovranismo alimentare. Le gesta dei Ministri di terra, Lollobrigida, e di mare, Santanchè, il libro di Sangiuliano e il moschetto di Piantedosi dovrebbero destare ilarità già ora che siamo soltanto agli inizi dell’ultimissima Opera Balilla per la costruzione dell’italiano nuovo, eppure non sarà una risata a seppellirli. Nelle loro uscite creative, li accompagna il sorriso trattenuto di chi vorrebbe, ma non osa sghignazzare di fronte alla comprovata inconsistenza di governo. Anche le goffe missive di indottrinamento ministeriale sulla storia universale rivista ufficialmente in chiave anticomunista e il varo di un nuovo metodo di insegnamento fondato sulla “umiliazione” degli scalmanati strozzano ogni possibile smorfia liberatoria.

Al governo, a cominciare dalla presidente del Consiglio “fuoriclasse” – così ribattezzata in una pacata prima pagina ottobrina di “Repubblica”– celebrata anche da un Damilano brindante al ritorno della politica grazie alla grande combattente contro “la polvere di cavalletta”, si viaggia e si balla. È così insicura tra ministri che non sa dirigere che non le resta che il rifugio nel quadernino degli appunti. Quando non si sa cosa decidere, si organizza per lei un bel viaggio spedendola in ogni parte del mondo. Il più decisivo volo, per la propaganda della premier un tempo attrice-benzinaia e ora gestrice di emergenze, è stato quello in Libia dove ha proposto di trasformare l’Italia nella pompa di rifornimento d’Europa per il diesel e la super.

Sono postfascisti del terzo millennio alle prese con la carenza di gas e l’eccesso di gaffe. Non ce l’hanno più con il movimento operaio, con i comunisti. Non sono spaventati neanche alla lontana dalla rosa nel pugno del socialismo europeo. Temono molto una Rosa che intendono epurare, ma si tratta di tal Rosa Chemical che vuole esibirsi a Sanremo. Vogliono impedire le melodie di una canzonetta perché a loro dire contiene un inno alla fluidità di genere. Il cambiamento dei costumi, non il comunismo e i moti proletari per il grande salto sociale, ecco trovata la radice della loro ossessione contro il mondo che diventa liquido anche nella sessualità. Non c’è alcun biennio rosso da reprimere e nessun tumulto bolscevico da comprimere.

La loro prima preoccupazione è quella di tenere lontana dalle nuove dinamiche dell’identità la postmoderna gioventù di sana e robusta costituzione. Le milizie immaginarie le dispongono a difesa della virilità insidiata dal Festival della canzone. Il loro sogno è quello di spezzare le reni ai cartoni alla Peppa Pig. “Bisogna impedire a questo ideologo gender di funzionare per vent’anni”, direbbero oggi a un capo dell’opposizione ritrovata. L’ordine eterno dei sessi è il succo della restaurazione meloniana nel segno di legge e certezza della pena. Se la lingua di Albione rimane perfida per qualche ministro scivolato sull’inglese, l’esecutivo è però allergico anche alla Germania, e certo non sogna di saldare nuovi Assi del male per godere di un posto al sole. La grandezza della patria è esaltata dallo sforzo del governo a conduzione familiare per raggiungere la piena autarchia nelle bancarelle alimentari. E’ in un modo tutto nuovo che intendono mostrare di essere gli interpreti migliori di una terra di poeti, santi e navigatori.

Con i poeti stanno a posto, dopo che il ghibellin fuggiasco è stato iscritto d’ufficio tra i fondatori dell’Msi dal vispo Sangiuliano. Anche con i santi (e le Santanchè) se la cavano alla grande, con la retorica di una premier che cita Giovanni Paolo II e Benedetto da Norcia. Per rimembrare di essere i figli del paese degli eroi e dei navigatori, fanno arrivare le imbarcazioni dei migranti sino a La Spezia così da lasciare ammirare più a lungo a vecchi e bambini la bellezza delle onde cullanti. Sarà contento Ignazio La Russa che il nero della pelle dei naufraghi si rifletta, lungo le interminabili rotte, nell’azzurro delle acque del Tirreno componendo così i colori dell’Internazionale. Ma la grandezza della patriota cristiana con cuore di mamma non cerca un attimo di riposo, e così, dopo aver risolto la lunga stagnazione italiana, trova anche il tempo per “aiutare i Paesi africani a crescere e diventare più ricchi”, magari grazie al finanziamento della magnanima guardia costiera.

Tra le immagini metafisiche, e quindi in un certo senso felliniane, girate nella pompa di benzina per combattere le accise e le riprese realistiche e istituzionali effettuate nella stanza dei bottoni di Palazzo Chigi, aperta per l’occasione al conduttore vociante Del Debbio, nulla sembra essere cambiato. Dalla stazione di servizio di lotta al Palazzo di governo, della Meloni è rimasta la stessa maschera popolana, quel “nun te preoccupà” che Blob accosta, per timbro della voce e mimica facciale, a un personaggio di Bice Valori. Il segreto della destra al potere, più che nelle parole, sta però negli sguardi. Negli occhi, dolci e inquietanti a un tempo, di Meloni che saluta Draghi durante il passaggio della campanella e poi, con il gesto vagamente napoleonico di chinare il capo verso destra, compostamente omaggia i patrioti emozionati perché appena promossi al governo; ma soprattutto in quelli stralunati del supercommissario Donzelli, capace, oltre che della rottamazione del “gabbiano” dissidente Rampelli, anche di uno sguardo così penetrante da lambire da vicino la dolce follia: quando la sua bocca si muove incontrollata e, per effetto di un incantamento sovrannaturale, anticipa, mimandole parola per parola, le intuizioni illuminanti dell’intervento dell’onorevole Gardini, in diretta Tv si coglie appieno il mistero teologico della visione contemplativa.

Accusano il deputato toscano di aver rivelato notizie riservate ricevute furtivamente dal compagno di camerata e di sottogoverno che dispone di preziosi segreti. Meloni prende tempo, invita l’opposizione colpita ad abbassare i toni e dà copertura ai suoi assalitori verbali fregandosene del senso delle istituzioni e della tanto decantata sicurezza nazionale. Alla difesa dei coinquilini complici nell’uso delle scartoffie la spinge la semplice constatazione che le intercettazioni, carpite in prigione, affidate al ministero e poi passate ad un amico forse durante una cena, sarebbero inutili fonti di notizie riservate per chi è capace, per naturali doti, di percepire i suoni più proibiti anche oltre le soglie dell’umano sentire.

L’amaro del capo Meloni, outsider dura che non deve sottostare ai ricatti di alcuno, prevede il fine pena mai. L’unico sconto che da quelle parti contemplano è per l’abitazione di lusso, che si prende solo se ben sottopagata. Il leghista del parco Mussolini e il candidato che sogna la Pisana anche grazie ai transfughi della sinistra mostrano il volto più nobile di una destra tutta casa e famiglia. Non si dica però che Giorgia è indifferente al messaggio della Costituzione. La sua prassi al riguardo è anche migliore della teoria. Sul piano teorico, vorrebbe l’abolizione dell’articolo della Carta che rimarca la finalità rieducativa della pena. In pratica, però, una condanna può per lei rappresentare anche un titolo d’onore, e se un ex-camerata vanta nel suo curriculum tracce di romanzo criminale diventa così ben degno del governo laziale.

Sarebbe tuttavia inutile contrastare questi allegri “semifascisti” del nuovo millennio urlando contro il cielo con toni lamentosi e gravi (“via costà con li altri cani!”). Serve una irraggiungibile egemonia culturale per arginare il profondo Sangiuliano, la calma ragione per contrastare il dottor sottile Donzelli, capace addirittura di presentire con la sola forza del pensiero i discorsi dei colleghi in Aula. E allora perché il Pd, alle prime elezioni suppletive, per rispondere colpo su colpo e con la stessa lingua alle incursioni di questa destra, non prova a portare in parlamento Alvaro Vitali? L’attore ha appena rivendicato in un’intervista una lunga e generosa militanza nel Partito comunista italiano.

Anche a risarcimento della stupida superiorità morale di una certa sinistra cinematografica con la puzza sotto il naso, lui sì che saprebbe trovare le giuste parole – sul sesso fluido e poligamico, sulla scuola del merito per professori, studenti e supplenti, sulle reazioni spontanee del corpo alle eccessive dosi di cibo richieste dalla sovranità alimentare del “cognato” Lollobrigida – per rintuzzare il governo della risata interrotta. Passare dal nazionalismo urlato al nazionalpopolare sarebbe comunque un balzello in avanti.