Rossana Rossanda è stata una protagonista gigantesca del ‘900 italiano e come spesso capita ai grandi protagonisti di un’epoca presentava troppi aspetti diversi, troppi lati di un prisma complesso, perché le istantanee dei ricordi giornalistici possano renderne conto e renderle giustizia. C’è la giovane, brillante e vorace intellettuale, allieva prediletta di Antonio Banfi, ed è una Rossana Rossanda che non è mai uscita di scena, neppure quando la militanza politica prese il sopravvento su tutto. Amica di personaggi come Sartre e Althusser, guida della Casa della Cultura di Milano per 12 anni, dal 1951 al 1963, nominata responsabile della cultura del Pci direttamente da Palmiro Togliatti, uno che in materia non era di bocca buona, è rimasta una studiosa curiosa, attenta a qualsiasi novità reale e non alla moda fino all’ultimo.

Nessuno della sua generazione ha saputo più di lei entrare in contatto e a volte in conflitto, ma sempre fecondo, con le generazioni successive di intellettuali marxisti. Ci teneva definirsi così «una marxista», segnando la differenza con amici e compagni con cui aveva diviso la vita, che amava ma che definiva «comunisti italiani». Cose diverse e ne era consapevole. C’e la militante rivoluzionaria che a 19 anni era entrata nella Resistenza e poi, nel dopoguerra, nel Pci. In una lunga vita, nata nel 1924, morta a 96 anni ieri, Rossana Rossanda non ha mai smesso di considerarsi tale. Lo era anche nel Pci degli anni ’60, senza le rigidità già allora arcaiche dei duri come Pietro Secchia ma con un’attenzione estrema a tutto quello che il vento della rivoluzione portava di nuovo: il Terzo Mondo, gli studenti del ’68, sui quali scrisse uno dei primi e migliori libri, L’anno degli studenti, soprattutto gli operai protagonisti dalla grande insorgenza sociale del decennio 1968-1978. In questa veste, nello storico XI congresso del Pci del 1966, fu protagonista in prima linea della battaglia che vide la sconfitta della sinistra ingraiana, con conseguente estromissione da tutti gli incarichi da dirigente.

Non si arresero né lei né molti di quelli che avevano retto quello scontro: l’ex direttore dell’Unità Luigi Pintor, un dirigente popolarissimo a Roma come Aldo Natoli, e poi Lucio Magri, Luciana Castellina, Eliseo Milani. La storia sembrava dargli ragione. La rivolta delle università e poi delle fabbriche confermava le loro analisi. Nella primavera del 1969 tentarono di dar vita a un periodico dissidente dall’interno del partito, il manifesto. Il partito la prese malissimo. Quella ribellione fu oggetto di tre riunioni del Comitato centrale e la situazione precipitò dopo un editoriale sulla Cecoslovacchia rimasto nella storia: Praga è sola. Finì nel peggiore dei modi: con la messa alla porta. «Speravamo di essere il ponte tra quelle idee giovani e la saggezza della vecchia sinistra, che aveva avuto le sue ore di gloria. Non funzionò. Ma questa è un’altra storia».

Si chiude così La ragazza del secolo scorso, l’autobiografia parziale, limitata alla prima parte della sua vita e della sua militanza politica, di Rossana Rossanda. Pubblicato nel 2005, quel libro si arresta al 24 novembre 1969, quando l’autrice, con tutto il gruppo del manifesto, fu radiata dal Pci. La differenza tra radiazione ed espulsione, in termini concreti, era inesistente ma la misura meno severa, se non meno drastica, attestava che i radiati non erano comunque rinnegati o traditori. “Compagni che sbagliavano” e soprattutto che si intestardivano a non ammettere l’errore come gli aveva chiesto di fare più volte Enrico Berlinguer, rappresentante dell’accusa che avrebbe preferito evitare la misura estrema. Qualcuno si smarcò e votò contro la radiazione e tra quei 12 c’era Achille Occhetto. Pietro Ingrao e Alfredo Rechlin, che nel 1966 erano stati protagonisti dello scontro decisivo all’XI Congresso, votarono secondo le disposizioni dall’alto.

C’è la Rossana Rossanda leader della sinistra extraparlamentare, perché nel clima effervescente dell’epoca quegli intellettuali che provenivano dal granitico Pci provarono a creare qualcosa di diverso, un gruppo della sinistra exptraparlamentare aperto al dialogo sia con gli altri gruppi rivoluzionari che con la sinistra del partito da cui provenivano. Fu una storia di aggregazioni, unificazioni, scissioni separazioni. La mossa a effetto fu la candidatura di Pietro Valpreda, ingiustamente accusato della strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969, nelle elezioni del 1972. Andò malissimo ma il gruppo restò vivo, diventando Pdup ancora per anni prima di essere sommerso dall’onda del ’77. Rossanda in quella fase non si fece mai coinvolgere troppo dalle ansie di creare partiti o partitini. Preferiva il giornale, in edicola dall’aprile 1971, il primo quotidiano della sinistra extraparlamentare a nascere, l’unico che non sia morto con il movimento e sia anzi ancora in campo.

Il quotidiano permetteva un’azione politica libera dai condizionamenti asfissianti degli interessi politici di micropartito, permetteva di esercitare un’analisi laica e a tutto campo. La Rossana Rossanda giornalista ha dato il meglio di sé: un modello unico o quasi di marxismo rigoroso ma capace di conservare l’eredità del pensiero liberale, con il pluralismo e il garantismo intesi come valori non trattabili. Come giornalista Rossana Rossanda, pseudonimo Caterpillar, era brillante ma anche sempre approfondita, sempre di parte e mai faziosa.
Nel cuore del sequestro Moro scrisse un pezzo da manuale del giornalismo, quello sull’ «album di famiglia» in cui rintracciava la discendenza genealogica precisa delle Br dal Pci degli anni ’50. Inutile dire che il Pci la prese molto peggio che male.

C’è anche una Rossana Rossanda privata, quella della lunghissima relazione e del matrimonio con il giornalista di guerra polacco e francese d’adozione Karol, uno che aveva alle spalle lo sterminio della famiglia nei lager nazisti, la guerriglia contro l’armata di Hitler in prima persona, decenni di giornalismo in mezzo alle bombe. Con lui e per lui, ormai cieco, negli ultimi anni della sua vita Rossanda era andata a vivere a Parigi, tornando in Italia solo dopo la scomparsa del marito. L’ictus la aveva poi paralizzata senza toglierle un briciolo di lucidità.
C’è anche una Rossana Rossanda sconfitta: nel Pci, nella società italiana, nella ricostruzione della sinistra, nello stesso manifesto dal quale si era allontanata nei primi anni ’10 di questo secolo. Di certo negli ultimi anni della sua vita si sentiva tale. Ma sul fatto che lo sia stata davvero è lecito dubitare. Con i grandi protagonisti della storia il tempo è spesso galantuomo. Forse lo sarà anche con lei e con la sua battaglia.