Le amicizie più forti e più durature spesso arrivano dopo aver condiviso iniziali periodi di antipatia, di lontananza, di avversità culturali: è il caso del rapporto nato tra Lea Melandri e Rossana Rossanda. La prima una delle figure più note del femminismo italiano, la seconda responsabile della politica culturale del Pci negli anni sessanta del Novecento. Due donne diverse nelle origini, nell’aspetto, nelle battaglie culturali e politiche ma che poi hanno avuto l’abilità e l’onestà intellettuale di rendere le differenze un arricchimento reciproco e di coltivare così una profonda amicizia che è durata fino a qualche mese fa: Lea ha ascoltato per l’ultima volta la voce già fragile e affaticata di Rossana prima dell’inizio del lockdown. Oggi con noi ricorda il percorso personale e letterario condiviso con Rossana Rossanda che trova forse l’apice della osmosi intellettuale nel libro a quattro mani Questo corpo che mi abita (Bollati Boringhieri, 2018): «Parlare del corpo – si legge nella quarta di copertina – è smuovere un’inquietudine. Ancor più per una donna che ha anteposto le ragioni del suo “io politico” al principio del “tutto è sessuato”, in amichevole dissonanza nei confronti del pensiero femminista con cui non ha mai smesso di dialogare».

Come è nata la sua amicizia con Rossana Rossanda?
È nata in un modo particolare, direi paradossale. Io venivo dalla provincia, la politica era sempre stata lontana da me: poi negli anni Settanta entrai nel Movimento non autoritario, senza il quale sarei rimasta chiusa nel mio privato. Rossana fondava intanto il manifesto. Eravamo due figure molto lontane, anche dal punto di vista fisico: lei con i suoi capelli bianchi, io con i miei rossi. Io non sono stata tra le adoratrici di Rossana all’epoca. Non la conoscevo di persona, leggevo i suoi scritti sul manifesto e mi arrabbiavo moltissimo e mandavo spesso lettere cattivissime contro di lei, che regolarmente venivano pubblicate. Finché nel 1977 esce il mio libro L’infamia originaria e Rossana scrive due paginoni straordinari con la sua grande onestà intellettuale. Una frase mi colpì: «Melandri mi ha messo contro un muro e lì resto». Questa lettura del mio libro mi ha molto colpita.

Dopo cosa accadde?
È stata lei che ha chiesto a una redattrice di conoscermi; si chiedeva perché la trattassi così male mentre a lei risultavo così simpatica! E ci vedemmo di persona: il primo incontro non fu facile ma quando andai io a trovarla a Roma scoprii una donna straordinaria. La figura di Rossana è stata molto complessa: c’è quella parte politica che tutti vedono, e poi c’è quella della sua grande cultura. Ricordo che quando andavo a farle visita – e sono grata per questa amicizia, per questo rapporto privato che si è instaurato tra di noi – lei per tutto il giorno parlava di politica, poi da mezzanotte alle 4 del mattino leggeva libri di arte, di letteratura, di psicoanalisi. Con lei ebbi uno scambio politico intenso come testimoniato dalla rivista Lapis di cui ero direttrice. La spingevo a fare quello che io stessa non riuscivo a fare: parlare del corpo e della cultura femminile. La nostra amicizia, che ha avuto dei momenti intensi, si è prolungata fino a questa perdita per me dolorosissima.

Diverse ma poi amiche?
Il nostro rapporto si è contraddistinto da una lato per le diversità: diverse le nostre origini, diversi gli interessi. Le dissi molto sinceramente che all’inizio non aveva capito molto il Sessantotto e il movimento degli studenti: criticava la posizione di Elvio Fachinelli che invece era quella che mi aveva personalmente più convinta. Rossana poi si è sempre definita una donna della storia, della politica; una politica che le era caduta addosso con la guerra mondiale e la Resistenza. Mentre io venivo da una famiglia contadina che mi ha permesso di studiare. Al di là di queste differenze, quello che mi colpì negli anni Ottanta è stata la straordinaria intelligenza con cui Rossana ha guardato al femminismo, riconoscendo con onestà che il femminismo era una rivoluzione, era davvero una cultura antagonista.

Nel suo “Manifesto per un nuovo femminismo” Rossanda ha scritto: «Ho esitato un attimo a definirmi “femminista” anche se credo di esserlo, non c’è battaglia delle donne che io non condivida, talvolta con qualche riserva». Qual è stato appunto il suo rapporto con il femminismo?
Mentre agli inizi degli anni Settanta io ero nel pieno del femminismo, ero legata alla rivista L’erba voglio, lei guardava al fenomeno con qualche perplessità; poi la rilettura del mio libro la colpì perché sapeva capire i cambiamenti. Straordinarie furono le sue interviste a Radio 3 che poi sono state raccolte nel libro Le altre. In questa rivisitazione anche della politica Rossana ha riconosciuto la portata immensa del femminismo. Poi cominciò subito a dire «come mai il vostro pensiero non entra in modo così dirompente rispetto ai saperi e ai poteri della vita pubblica?». È stata lei a vedere la portata ambiziosa e rivoluzionaria del movimento femminista. Rossana è stata legata anche personalmente a tante donne del femminismo: il libro Anche per me. Donna, persona, memoria dal 1973 al 1986 è stato il suo riconoscimento al movimento delle donne. Negli ultimi anni non amava molto parlare del femminismo ma il suo riconoscimento è comunque avvenuto in quel “Manifesto”, soprattutto nel suo appoggio a Non una di meno: a distanza di anni e di generazioni, ha avuto ancora una volta l’intelligenza di capire che questa nuova rete di donne è una espressione importante del femminismo.

Tra i tanti scritti andrebbe ricordato di più “Questo corpo che mi abita” che lei ha curato e in cui sono raccolti gli articoli di Rossana Rossanda pubblicati sulla rivista Lapis.
Con la sua generosità ha mostrato anche altri aspetti di sé che riguardano appunto il corpo. Ha parlato della bellezza, della vecchiaia e ha scritto del corpo come io non sono riuscita a fare. Feci la prefazione, gliela mandai e lei mi disse che andava bene ma mancava qualcosa, mi incoraggiò a parlare del mio corpo. Purtroppo quello era il mio tallone d’Achille, purtroppo non riuscivo a farlo. Lei era conosciuta come la donna della politica, mentre in questa raccolta ha mostrato un altro io rispetto a quello politico.

Rossanda scrisse a pagina 9: «Nessuna lettura del mio libro – raccolta di articoli di una decina d’anni e più – è stata più amorosa di quella di Lea. Nessuna più ravvicinata. Nessuna mi ha mandato più amorosamente a dire “Oh infelice, ti sbagli”».
Si riferisce soprattutto agli anni Settanta e Ottanta quando io ero nel pieno del femminismo e vedevo la centralità delle tematiche che erano state sempre inspiegabilmente considerate private, appunto il corpo, la sessualità, la cancellazione della donna come persona, ridotta all’unico ruolo di madre e di moglie. Le donne sono state identificate con il corpo a cui altri hanno dato ruoli. Lei invece si è mossa politicamente sempre nel mondo degli uomini ma con una grande autonomia: i suoi scritti politici non hanno nulla di politichese. Lei ha accentuato in alcuni di questi articoli questa nostra diversità da cui però abbiamo tratto tutte e due grande arricchimento: io era molto curiosa della sua storia politica, lei di tutte quelle esperienze, per altro le più universali dell’umano – come la maternità, la sessualità – che sono state considerate “non politiche” e confinate nel privato.