Russi, mascherine e ritardi: perché Conte ha paura

Il via libera della Camera alla proposta di legge che mira a istituire una commissione di inchiesta sulla gestione dell’emergenza Covid-19 in Italia non va intesa come una mossa giustizialista: si tratta di una decisione doverosa che – nel rispetto delle vittime, dei relativi parenti e di chi ha subito gli effetti negativi di quel periodo – è imprescindibile per fare chiarezza su quei momenti. Nessun intento forcaiolo, nessun pregiudizio, nessun processo alla sbarra, nessun tribunale politico: non è altro che un passaggio per porre i riflettori sulle modalità con cui il governo dell’epoca ha affrontato la pandemia da Coronavirus.

A Montecitorio è andato in scena il caloroso abbraccio tra Giuseppe Conte e Roberto Speranza. L’attuale presidente del Movimento 5 Stelle ha messo nel mirino quello che a suo giudizio è un «plotone di esecuzione politica»; l’ex ministro della Salute ha parlato di un obiettivo «diabolico». L’irritazione e la reazione scomposta del fu presidente del Consiglio non sono passate inosservate e inevitabilmente hanno innescato una domanda: a cosa è dovuta tanta agitazione? È bene ribadirlo: prodigarsi nel provare a trovare chissà quale intento macabro sarebbe un esercizio scorretto e fuori luogo, visto che la commissione di inchiesta ha come unica finalità la ricerca della nitidezza. E se si è positivamente coscienti del proprio operato si adotta un approccio collaborativo e di assoluta tranquillità.

Gli italiani ricordano molto bene le conferenze stampa fiume, le decisioni prese allo scadere della giornata, le incertezze che hanno lasciato le famiglie sul lastrico di un buio totale a poche ore dall’entrata in vigore di determinate misure, le ambiguità, la regia comunicativa di Rocco Casalino. Ma questo è solo il contorno di un periodo storico che ha avuto un impatto inequivocabile sull’Italia e che merita di finire sotto la lente di ingrandimento per spazzare via dal campo dubbi, punti interrogativi, perplessità, sospetti.

La commissione di inchiesta non parte mettendo al gabbio ma poggia le proprie basi su domande a cui sarà necessario fornire repliche puntuali, convincenti. Ma soprattutto vere. È questo il punto dirimente. Da chi è nata l’iniziativa che poi ha visto sfilare i militari russi a Bergamo? L’operazione virus aveva solamente intenti benèfici per garantire supporto al nostro Paese in forte difficoltà o nell’ombra si rifugiavano altri scopi maligni? Sono arrivati per sanificare o per esaminare tamponi nel loro laboratorio?

Non ci si potrà tirare indietro dalla verità sugli acquisti di materiale sanitario, a partire dalle mascherine. A proposito, quelle dell’epoca risalente all’ex commissario straordinario Domenico Arcuri erano tutte sicure, efficienti e funzionanti? Quelle cinesi acquistate a inizio pandemia erano state consegnate nella consapevolezza che non fossero a norma o si era all’oscuro? I ventilatori dalla Cina erano difettosi o sono stati utilizzati facendo affidamento sul loro perfetto svolgimento?

Con quali criteri sono state prese le decisioni sulle chiusure? Bisognerà valutare – tra le altre cose – l’efficacia e la tempestività delle norme adottate dell’esecutivo e dalle sue strutture di supporto per contrastare, prevenire, ridurre la diffusione e l’impatto del Coronavirus. Al di là del lockdown nei primi mesi, perché è stato adottato un pugno così rigido sulla socialità piuttosto che accelerare per entrare nel vivo della Fase 2?

Tra fine marzo e inizio aprile era forte il pressing per un piano di riaperture delle scuole e delle fabbriche. Una buona parte della scienza aveva preferito frenare, paventando scenari drastici in caso di un alleggerimento delle misure restrittive e numeri che avrebbero mandato in tilt il nostro Sistema sanitario nazionale. Per quale ragione si è preferito continuare sulla strada delle chiusure costringendo gli alunni a svolgere le proprie attività didattiche a distanza? Non si poteva predisporre un piano dettagliato per il ritorno in sicurezza sui banchi subito dopo la fase più acuta dei contagi e dei decessi?

È un tema di grande spicco perché sono sotto gli occhi di tutti i negativi riflessi psicologici – derivanti dal lockdown e dall’eccessivo isolamento – con cui i ragazzi continuano a farei conti. Simona Barbera, responsabile del CPS Giovani dell’ospedale Niguarda, a giugno 2021 era stata chiara: «La verità, purtroppo, è che i giovani sono stati dimenticati come categoria. Credo che questo abbia influito molto sullo sviluppo di alcuni sintomi». La DAD di certo non ha aiutato, come dimostrano alcune ricerche da cui è emerso come l’insegnamento online abbia determinato una perdita dell’apprendimento.

È lecito pretendere trasparenza su eventuali abusi, sulla commessa relativa ai banchi a rotelle per le scuole, su eventuali sprechi, irregolarità e fenomeni speculativi. Senza dimenticare il grande alveo dei rimborsi statali. Cosa c’è di vero e cosa invece è sbagliato nella storia di SEIF (Società Editoriale Il Fatto) relativa al contratto di finanziamento con Unicredit per un ammontare complessivo pari a 2.500.000 euro? Si trattava di finanziamento pubblico o di normale finanziamento bancario?
Avete potuto constatare che non si rivolgono accuse, non si individuano colpevoli già processati a priori, non si ricorre alla clava. Domande, domande, domande. Certo, un’enorme pila di quesiti. Ma è questa l’essenza della democrazia. Per poter vantare credibilità e autorevolezza politica non si può venire meno ai princìpi di onestà e limpidezza.