Nel “Si&No” del Riformista spazio alla discussione sul salario minimo: è giusto introdurlo o no? Contrario all’introduzione di misure in tal senso il giornalista Oscar Giannino. Favorevole, incece, Arturo Scotto, deputato di Articolo Uno.

Qui di seguito il pensiero di Giannino:

Quando si parla di salario minimo stabilito per legge, bisogna capire bene che cosa si abbia in mente. Che 21 Paesi UE su 27 lo prevedano e 6 tra cui l’Italia no, è verissimo. Ma è altrettanto vero che è proprio per la ragione che la Direttiva UE in materia identifica come virtuosa. La Direttiva è esplicita: il salario minimo per legge serve nei Paesi a bassa copertura contrattuale degli occupati. Tanto è che vero che sono i Paesi sotto l’80% di copertura a dover presentare “piani di azione rafforzati”. Mentre «i Paesi caratterizzati da un’elevata copertura della contrattazione collettiva tendono ad avere una percentuale salari minimi più elevati rispetto al salario mediano, minori disuguaglianze salariali e salari più elevati».

Infatti, i salari minimi più elevati in rapporto ai salari mediani si registrano in 2 paesi in cui più la loro determinazione è affidata alla contrattazione collettiva, Danimarca ed Italia, in cui la copertura contrattuale è ben superiore all’80%. L’Europa elogia dunque il nostro modello e non ci chiede affatto di sradicarlo con decisioni dirigiste della politica. E tuttavia: esiste un problema di working poors in Italia? Sì, eccome. Non solo abbiamo la classificazione ISTAT dei dati salariali medi e mediani per settore contrattuale, ergo sappiamo bene che i settori in cui il salario contrattuale minimo è nella forbice 5-7 euro lordi l’ora sono l’agricoltura e vaste fette del mondo terziario, ristorazione, ricettività dei piccoli alberghi, caregiver come badanti e colf, e settori come la logistica e l’edilizia.

L’industria e la manifattura, spesso additate come affamatrici dei lavoratori sui media, sono tutte a minimi contrattuali superiori alla cifra che si voleva stabilire per legge nella corsa legislatura. L’ISTAT ci dice poi che a fine 2020 stimava una retribuzione lorda media dei lavoratori irregolari pari a poco meno della metà di quella dei regolari, e un tasso di irregolarità superiore al 15% del totale degli occupati. E anche su questo ci dice dove sono: la maggiore incidenza di irregolari è stimata nel lavoro domestico al 58,6%, nel settore agricolo al 30,7%. Esistono dunque sia settori in cui il minimo contrattuale è tropo basso, sia settori in cui semplicemente i contratti non vengono applicati.

Ora veniamo al punto: perché il salario minimo per legge non appare la soluzione migliore? Primo: l’esperienza di diversi Paesi a bassa copertura contrattuale indica che, una volta stabilito un tetto per legge, si scatena la gara politica ad alzarlo a scopi elettorali, non numeri alla mano. La Banca di Spagna ha realizzato studi sull’effetto dell’incremento del 22% del salario minimo legale deciso dal governo spagnolo nel 2019: una riduzione degli occupati “legali” dal 6 all’11% nella fascia di lavoratori cui si applicava la misura che era solo il 10% degli occupati, quindi tra 0,6% e 1,1% in meno sul totale degli occupati regolari. Diventati invece occupati in nero.

Ciò malgrado il governo Sanchez l’anno scorso lo ha ancora alzato. Seconda ragione di inopportunità del salario minimo per legge: la confusione su che cosa sia. Nella scorsa legislatura Pd, 5S e Cgil condividevano con il ministro Orlando l’idea che il salario minimo per legge non debba riguardare il trattamento economico minimo contrattuale, il TEC come si dice in gergo. Bensì il TEM: il trattamento economico complessivo, comprendente TFR, premi produttività, bonus e welfare aziendale. Ma in questo mondo va a farsi benedire la virtuosità della contrattazione tra parti sociali che l’Europa ci dice di difendere. Sarebbe la politica, a decidere discrezionalmente l’intera retribuzione.

Terza ragione di inopportunità: si può decidere per legge senza tenere in alcuna considerazione l’andamento della produttività, di settore e aziendale. In un Paese come l’Italia, da 25 anni a produttività stagnante, è un errore capitale. Lo ha più volte ricordato la Banca d’Italia, anche nelle sue considerazioni finali della settimana scorsa Visco ha ripetuto che la via vera per gli aumenti salariali è la crescita ella produttività.

Quarta ragione di inopportunità: sui working poor si può intervenire efficacemente in maniera diversa. Estendendo l’efficacia soggettiva dei contratti collettivi “di riferimento”, al fine di garantire insieme il rispetto dei diritti dei lavoratori e adeguati livelli retributivi. A tal fine, meglio un accordo fra governo e parti sociali su criteri generali di misurazione della rappresentanza, condizione per individuare il CCNL da prendere a “riferimento” in ogni settore. In modo da stabilire concordemente in quel modo la retribuzione minima TEM) e riservando benefici fiscali dalle imprese di settore che applichino integralmente il TEC del contratto collettivo di riferimento.

Inoltre, consentire all’INPS di poter effettivamente controllare il rispetto dei minimali contrattuali e dei minimali contributivi, così come definiti nell’articolo 1 della legge n. 389/1989. Terzo, lotta aperta alle finte cooperative di comodo con cui in vasti settori si praticano paghe da fame e furti contributivi ai lavoratori e allo Stato. Sono molto più efficaci misure di questo tipo, che salari minimi per legge confusi nella definizione e a rischio accresci-lavoro nero.

Oscar Giannino

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