Salvate il soldato Brunetta. Non solo dal fuoco degli avversari ma anche dal fuoco amico. Il Paese ha bisogno del suo coraggio di combattente, della sua competenza e del suo impegno per affrontare e superare – come ha detto Mario Draghi al Senato – quella «fragilità del sistema delle pubbliche amministrazioni e dei servizi di interesse collettivo» che è, tuttavia, «una realtà che deve essere rapidamente affrontata».

Oltre a provvedere «lo smaltimento dell’arretrato accumulato durante la pandemia» attraverso uno specifico piano, la riforma – come ha indicato il premier – dovrà muoversi su due direttive: investimenti in connettività con anche la realizzazione di piattaforme efficienti e di facile utilizzo da parte dei cittadini; aggiornamento continuo delle competenze dei dipendenti pubblici, anche selezionando nelle assunzioni le migliori competenze e attitudini in modo rapido, efficiente e sicuro, senza costringere a lunghissime attese decine di migliaia di candidati. È la stessa impostazione che si ritrova negli obiettivi contenuti nel “Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale” sottoscritto, su iniziativa di Renato Brunetta, il 10 marzo da Draghi e dai segretari generali di Cgil, Cisl e Uil.

Uno degli obiettivi del Patto è quello di «riconoscere alla Pubblica Amministrazione il ruolo centrale di motore di sviluppo e catalizzatore della ripresa: la semplificazione dei processi e un massiccio investimento in capitale umano sono strumenti indispensabili per attenuare le disparità storiche del Paese, curare le ferite causate dalla pandemia e offrire risposte ai cittadini adeguate ai bisogni». Quanto sia strategica in una fase come questa un’amministrazione pubblica più efficiente è una pressante raccomandazione della Ue nell’ambito del PNRR; non è soltanto la condizione per ottenere i finanziamenti, ma poterli impiegare in maniera efficace, in un Paese che – come ha ricordato il ministro Daniele Franco durante un’audizione al Senato – ha sulla coscienza lo spreco dei Fondi strutturali UE che hanno consentito di attivare nel nostro Paese interventi per oltre 73 miliardi di euro fino a tutto il 2023.

A quasi due anni dalla fine sono state impegnate risorse per soli circa 50 miliardi e, di questi, ne sono stati spesi poco più di 34. Col Patto, Brunetta scommette su di una nuova stagione di relazioni sindacali, cominciando dall’avvio dei rinnovi contrattuali per 3,2 milioni di dipendenti pubblici per un aumento medio di circa 107 euro. E qui è scoppiata la critica: «Prima dei garantiti – tuona Maurizio Belpietro su La Verità, all’unisono con Nicola Porro dal teleschermo – vanno aiutati gli autonomi». E segue un elenco di denunce per i ritardi e i disservizi che hanno caratterizzato le politiche di “ristoro” delle perdite di reddito e di fatturato durante la pandemia. Ovviamente Belpietro punta il dito sulla burocrazia che non è stata all’altezza delle risposte attese dai cittadini, riconoscendo, così, implicitamente, che l’amministrazione, con le sue risorse umane e materiali, costituisce il punto di raccordo tra lo Stato e i cittadini, in quanto è lo strumento che assicura o nega l’esercizio dei diritti e l’erogazione dei servizi.

Val la pena di ricordare che l’aumento medio di 107 euro è equipollente a quanto è previsto in generale nei contratti dei settori privati; che il relativo ammontare è stanziato in bilancio; che l’anno scorso le federazioni di categoria proclamarono uno sciopero (per fortuna fallito clamorosamente) perché consideravano inadeguato l’incremento retributivo previsto. Inoltre, il governo che si è impegnato ad aprire le trattative per i rinnovi è lo stesso che provvederà a varare – per decreto – le misure di “sostegno” ai lavoratori autonomi e parasubordinati (una battaglia condotta da Brunetta dall’opposizione). Dalla contrattazione transitano quelle modifiche che sono necessarie nel lavoro pubblico. Renato Brunetta, in un’intervista radiofonica, ha ricordato di aver già fatto “questo mestiere”, come titolare della Funzione pubblica del governo Berlusconi nella XVI legislatura. In quella veste varò con legge delega del 2009 (e col successivo dlgs n.150) una riforma organica del pubblico impiego che fu accusata di togliere spazio alla contrattazione a favore di una ri-legificazione della materia, necessaria, secondo Brunetta, a riportare ordine nelle manovre sindacali che seguirono la c.d. privatizzazione del rapporto di lavoro all’inizio degli anni ’90.

Quella profonda revisione dell’ordinamento, a firma di Brunetta, finì nel freezer del blocco della contrattazione, voluto da Giulio Tremonti, nella successiva legge di bilancio, per questioni di finanza pubblica, e durato più di un decennio. Quel blocco comportò anche il congelamento di ogni innovazione, che non aveva altra possibilità di svilupparsi se non attraverso la contrattazione collettiva (perché non si è mai vista una legge in grado di fissare gli obiettivi, organizzare il lavoro in un ufficio, verificare i risultati). Credo che Brunetta abbia riflettuto su quell’esperienza e compreso che non è possibile trasformare la pubblica amministrazione senza una convergenza di interessi con i lavoratori e i sindacati che li rappresentano. Sorprende pertanto che Pietro Ichino – sul Foglio di ieri – non concordi con l’idea per cui «le cose che vanno fatte per far funzionare meglio le amministrazioni pubbliche si possano fare solo con l’accordo dei sindacati».

E da qui Ichino prende l’avvio per elencare – giustamente – i limiti, le ipocrisie e gli errori del sindacalismo del pubblico impiego. E quindi i “rischi” che correrebbe Brunetta a proseguire su quella strada insieme (la considerazione è solo nostra) a sindacati felloni. Il fatto è che per Ichino riformare la PA è un’operazione difficile, ma non impossibile. Per riuscire nell’impresa occorre avere ragione dell’inamovibilità, delle rendite, della trappola dei diritti acquisiti, del rifiuto delle verifiche e delle valutazioni, mentre devono trovare spazio nei contratti collettivi i premi legati ai risultati e al raggiungimento di obiettivi precisi collegati a scadenze determinate. E chi ha detto al professor Ichino (amicus Petrus sed magis veritas) che non siano queste le linee che il governo intende portare avanti?

A leggerlo, il Patto sembra che sia stato scritto proprio dall’amico Pietro, sia per quanto riguarda le assunzioni, la ricerca di nuove professionalità, il ringiovanimento del personale, la formazione, il superamento della “fase emergenziale” dello smart working. Quest’ultimo caveat è importante perché, come ha più volte segnalato proprio Ichino, non c’è da fidarsi delle esperienze di un lavoro da remoto disposto dal precedente governo più per logiche sanitarie che per obiettivi produttivi eseguiti in maniera diversa. Un’ultima considerazione meritano alcuni brani dell’intervento di Draghi in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario della Corte dei Conti. «È necessario – ha affermato il presidente del Consiglio – sempre trovare un punto di equilibrio tra fiducia e responsabilità: una ricerca non semplice, ma necessaria.

Occorre, infatti, evitare gli effetti paralizzanti di quella che viene chiamata la “fuga dalla firma”, ma anche regimi di irresponsabilità a fronte degli illeciti più gravi per l’erario. Tenendo conto peraltro che, negli ultimi anni, il quadro legislativo che disciplina l’azione dei funzionari pubblici si è “arricchito” di norme complesse, incomplete e contraddittorie e di ulteriori responsabilità anche penali». Poi Draghi ha continuato: «Tutto ciò ha finito per scaricare sui funzionari pubblici responsabilità sproporzionate che sono la risultante di colpe e difetti a monte e di carattere ordinamentale; con pesanti ripercussioni concrete, che hanno talvolta pregiudicato l’efficacia dei procedimenti di affidamento e realizzazione di opere pubbliche e investimenti privati, molti dei quali di rilevanza strategica».

Stanno qui – ad avviso di chi scrive – alcuni dei motivi di quelle che pretestuosamente vengono definite le disfunzioni burocratiche. Sono la cultura del sospetto e la mistica della corruzione che impongono ai dipendenti pubblici la linea del “non fare” che è diventato l’unico modo per evitare, in sequenza, una intercettazione telefonica magari trascritta non correttamente, un avviso di garanzia per abuso di ufficio con annesso “sbatti il corrotto in prima pagina”. Bisognerà pur difendersi dal bracconaggio delle procure.