La festa dell'opposizione
Salvini cerca consensi ad Atreju, ma non fa breccia nel popolo di FdI
Due derby combattutissimi nel girone di anticipo della Coppa del Colle. Quello del centrodestra a Roma ha visto ieri la Lega sfidare fuori casa Fratelli d’Italia, oggi quello del centrosinistra a Firenze con il Pd che assedia Italia Viva nella sua città simbolo, con protagonista Paolo Gentiloni che parlerà a due passi dalla Leopolda. Salvini contro Meloni, Letta contro Renzi, i protagonisti degli schieramenti prendono le misure per il Quirinale ed oltre, per gli accordi sulla legge elettorale e più in generale sull’agenda che potrebbe portare il Paese al voto.
In mezzo, spariglia il leader del M5s che non vuole passare per spalla di Letta e rilancia: «Dopo la manovra coinvolgerò Salvini e Meloni per trovare un accordo sul Quirinale». Conte approfitta dell’auditorium della Conciliazione a Roma, dove è stato invitato dalla Cna, per soffermarsi in una serie di interlocuzioni top secret a sfondo quirinalizio. Prima con Antonio Tajani, subito dopo con Matteo Salvini. Infine con Letta, per un lungo colloquio. Chiamato da AdnKronos, la calcia in tribuna: «Da domani (oggi, ndr) sentirete il ruggito dei motori accesi del nuovo corso, si riuniscono i vicepresidenti e i comitati». Per Conte il nome è uno, Mario Draghi, e la massima quella del Senato romano: promoveatur ut amoveatur. Via Draghi, strada spianata per un ritorno in pista di Conte, nei sogni segreti dei nostalgici giallorossi. Anche il corpaccione del M5s, fiutata l’aria, si schiera per le larghe intese. «È necessario, fin da subito, il coinvolgimento attivo di tutte le forze politiche, partendo dai singoli parlamentari, presenti sia al Senato che alla Camera, e solo in questo modo si potrà scegliere il profilo migliore per l’elezione del Presidente della Repubblica», fa sapere il senatore contiano Vincenzo Presutto.
Ma stiamo all’oggi. Il confronto a destra torna nel contesto della Festa di Atreju, dove dopo tanto protagonismo di Giorgia Meloni, i riflettori tornano su Matteo Salvini. «Lascio ad altri i ragionamenti sul Quirinale», si era schermito inizialmente il leader leghista. Nell’ultima settimana era rimasto nell’ombra, per una volta fuori dai radar. Nella mattinata si era reso protagonista di una curiosa interpretazione della Giornata internazionale dei diritti dell’uomo e degli animali, focalizzandosi su questi ultimi: «Ho voluto donare migliaia di coperte per i cani e i gatti al freddo», ha fatto sapere sui social, sorvolando sui senzatetto altrettanto infreddoliti. Poi ha attaccato la Cgil e lo sciopero generale del 16 dicembre. «Lo sciopero proclamato dalla Cgil è folle e assurdo. È contro una legge di bilancio che aiuta soprattutto chi guadagna di meno, compresi i pensionati che da anni non si vedevano riconoscere un euro. Landini si è montato la testa e sicuramente non vuole bene all’Italia. Spero che ci ripensi e spero che il Pd, che è il partito più legato alla Cgil, dica e faccia qualcosa. Bloccare il Paese il 16 dicembre sarebbe una follia».
Salvini mette Letta nel mirino rovesciando la strategia di attacco dem. Proprio su quello stesso palco il segretario Pd aveva riconosciuto in Giorgia Meloni non solo la nuova leader del centrodestra, ma l’unica interlocutrice affidabile e credibile per il centrosinistra. Oro, in tempi di Quirinale, che Meloni prova a incassare: «Valutiamo sin da ora le alternative possibili al nome di Berlusconi», ripete ogni giorno. Lo scettro della capofila del centrodestra è per la prima volta nelle sue mani. E con lei devono fare i conti un po’ tutti. Anche chi, nel campo avverso, prova a richiamare l’attenzione sull’identikit internazionale del suo candidato ideale al Colle. Lo fa da Firenze il Pd di Letta che dà il via alla contro-Leopolda. La firmano gli eurodeputati del gruppo Socialisti e Democratici con l’evento “Il futuro è la democrazia: l’Europa progressista al bivio”. E di statisti europeisti parlano oggi Enrico Letta e il ministro del Lavoro Andrea Orlando, David Sassoli e Paolo Gentiloni, Helena Dalli, Commissario Europeo per l’Uguaglianza, Nicolas Schmit, Commissario ai Diritti Sociali, Jens Geier, Capo della delegazione tedesca al gruppo S&D.
Brando Benifei, che dell’operazione è il regista ed è capogruppo in Europa, guarda a Bruxelles per puntare su Roma: servono i progressisti – è la sintesi – e servono per una serie di ragioni: «È un momento di svolta senza precedenti nel processo di integrazione europeo. L’Europa di oggi non basta più per affrontare le sfide del presente: dalla lotta al cambiamento climatico all’emergenza pandemica, dalla transizione tecnologica e digitale alla necessità di difendere e rinforzare il modello sociale europeo fino all’instabilità sullo scenario internazionale. I Socialisti e Democratici sono in prima linea in questa battaglia», dice. L’Spd tedesca è lì per confermarlo. Non ci sono i francesi, per non creare imbarazzi: la sfidante socialista di Macron, l’attuale sindaca di Parigi, Anne Hidalgo, non sembra in posizione vincente e il Pd non può permettersi di sposare la sfidante del presidente più amato. Proprio da Firenze, un mese fa, Matteo Renzi aveva detto che l’alter ego del centro riformista che punta a costruire è Emmanuel Macron.
Due visioni dell’Europa diverse, due scuole di centrosinistra alternative. Ma lo stesso intento – confermato al Riformista da Renzi – di trovare un’intesa su un presidente della Repubblica che metta d’accordo tutti. Simona Bonafé è “molto contenta dell’appuntamento europeo di Firenze, capitale delle idee progressiste europee per un giorno”. Ma se il momento di confronto europeo cade in questi giorni di pretattica quirinalizia, il tributo prevedibile e previsto per Gentiloni sul palco non sarà casuale. «Dobbiamo lavorare sulla manovra e del Quirinale parleremo a gennaio», si schernisce Bonafé, che poi ammette: «Certo si deve poter contare su un presidente della Repubblica europeista, capace di grandi relazioni e di visione», tratteggia l’eurodeputata, che è anche segretaria regionale del Pd toscano. In questo sabato politico, ad Atreju con Giorgia Meloni ci saranno Matteo Renzi e Sabino Cassese. Il Quirinale delle larghe intese apre già i battenti.
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