La svolta moderata
Salvini e Berlusconi si spostano al centro col Partito repubblicano e provano a isolare la Meloni
Non è questo il momento di regolare i conti. Non qui, al Consiglio federale della Lega in via Bellerio, e non adesso, quando il centrodestra è ancora sotto choc per aver sbagliato il rigore che le avrebbe dato la Champions: l’elezione del presidente della Repubblica. Le macerie del centrodestra sono una faccenda troppo complicata per essere chiarita adesso. Una cosa è certa: Matteo Salvini è giunto a un bivio che sa da tempo di dover affrontare e che, semplificando, l’ex azzurro e ora centrista Osvaldo Napoli, sintetizza così: «Orban o Merkel? Cosa vuol essere la Lega di Salvini una volta consolidato una base di consenso che può oscillare tra il 15 e il 18%?».
Salvini sta prendendo sempre più le distanze da Fratelli d’Italia e da Giorgia Meloni «destinata – bisbigliano i leghisti – a restare confinata nell’angolo del sovranismo con cui noi non vogliano avere nulla a che fare». Oltre al posizionamento politico – meno destra e più centro – il Partito Repubblicano e la mitologica “federazione” sono la boa a cui il segretario della Lega si aggrappa per non perdere il diritto di cittadinanza e di interlocuzione con il “centro” e il Ppe europeo. In questa ottica, se c’è una gamba della coalizione che Salvini non vuole assolutamente perdere, quella è proprio Forza Italia. Ma il colloquio lungo due ore lunedì sera ad Arcore con Silvio Berlusconi non è andato benissimo. Di sicuro è servito a chiarire, si racconta, “le incomprensioni” sulla candidatura di Belloni che Forza Italia aveva già considerato inopportuna in prima battuta –giovedì mattina scorso mentre era in votazione Casellati– e poi di nuovo venerdì sera quando l’asse Iv-Fi-Leu e un pezzo di Pd ha sbarrato la strada alla direttrice della nostra intelligence.
Per il resto, però, non è andata come Salvini avrebbe voluto: il Cavaliere, che si è ripreso dalla “delusione” Quirinale, gli ha voluto “ricordare” che l’idea della Federazione era la sua “di un anno fa” ma all’epoca proprio il segretario della Lega non volle prendere troppo sul serio la proposta. “Comunque – avrebbe replicato il Cavaliere – ci lavoreremo, con calma, con i tempi giusti”. Non qui e non adesso. La priorità, ad Arcore, ora è “lavorare sull’aggregazione dell’area di centro anche per poter poi trattare alla pari con la Lega”. Da qui, anche, l’apertura ad una legge elettorale di tipo proporzionale. Salvini può attendere. Meloni può anche andare per la sua strada. Bisogna aver chiaro questo quadro e i suoi fondamentali per capire perché il Federale della Lega è stato solo il modo per far arrivare al segretario la solidarietà dei fedelissimi dopo che s’è preso botte di qua e di là più per ingenuità che per ragioni tattiche. Cosa che forse fa ancora più rabbia. Le regole della casa dicono però che i panni si lavano in privato e se il segretario è un pugile suonato, va sostenuto in attesa di tempi migliori. E quando le idee saranno più chiare.
Da qui «la piena fiducia e il mandato al segretario di lavorare per creare, allargare e potenziare un’alleanza alternativa alla sinistra» di cui si legge nel comunicato finale della riunione iniziata alle 15.30 e terminata tre ore più tardi. Salvini ha ostentato serenità: «La Lega è compatta e il centrodestra si ricostruisce, non c’è problema. Io lavoro per unire, raccogliere e andare oltre». Ha rivendicato anche la scelta di Mattarella: «Sono contento di essere stato colui che ha messo fine all’ipocrisia» nella partita del Quirinale «dicendo che, piuttosto che andare avanti coi no reciproci chiediamo il sacrificio a Mattarella». A Giorgia Meloni ha dedicato poche e formali parole: «Non rispondo a chi critica, né da destra né da sinistra. In generale non dico mai di no a nessuno, lavoro per unire». Vorrebbe lasciare aperte tutte le porte Salvini, ma quel tempo è finito e adesso rischia di trovarle chiuse.
Intanto resta al governo, messaggio chiaro a chi da sinistra ha ricominciato a suggerire scenari in cui la Lega “uscirà dal governo per dare forse un appoggio esterno” in quanto “unico modo per non farsi cannibalizzare tutti i voti da Fdi”. Che poi sono le stesse voci che a specchio suggeriscono scenari simili anche per risolvere i guai in casa 5 Stelle: Conte in appoggio esterno facendo l’occhiolino a Salvini. È l’asse giallo-verde – più volte smentito da Conte – di cui si è sentito parlare nei giorni delle urne presidenziali. Il governo, quindi: starci? E, se sì, come? Con quale obiettivo? Intanto “l’allentamento delle restrizioni e nuove regole più semplici per la scuola” (il governo le ha pronte e saranno sul tavolo del Cdm oggi).
Nel breve periodo il Federale ha approvato all’unanimità la proposta di Salvini per un decreto contro il caro bollette e che impedisca la riforma del catasto così come prevista nel ddl sulla concorrenza. La Lega chiede anche “un impegno più concreto per la difesa dei confini e la lotta all’immigrazione clandestina”. Un programma per dodici mesi di governo, appunto. Vedremo come il no alla riforma del catasto o il via libera alla Bolkestein saranno gestiti e affrontati al momento opportuno: minacciando o cercando sintesi e mediazioni? «La leadership di Salvini è saldissima e nessuno mette in discussione la sua posizione di leader», diceva ieri il capogruppo alla Camera Riccardo Molinari. E francamente, non avrebbe potuto dire nulla di diverso.
Il problema più urgente adesso per Salvini è evitare che si aggreghi una forza di centro che lo lascerebbe schiacciato come una fetta di salame tra il centro, appunto, e la Meloni a destra. Si può capire così l’attacco furibondo della Lega ligure ieri contro il governatore Toti che, con Coraggio Italia, potrebbe diventare la calamita aggregatrice del nuovo centro. «Siamo felici – diceva ieri Lucia Ronzulli tra i fedelissimi di Berlusconi – che Salvini abbia capito che la direzione è quel Partito repubblicano che Berlusconi aveva lanciato quasi due anni fa». Ma certe cose «non si fanno né con una fusione a freddo né sull’onda degli stimoli di questa settimana». Servono “condivisione, confronto, una comunità di intenti e valori”.
Da Forza Italia cominciano ad arrivare attacchi a Meloni. «Quando a Roma ha imposto un signor Nessuno come sindaco – ragiona a voce alta il deputato Andrea Ruggeri – nessuno di noi le ha fatto il processo. Eppure avremmo avuto molto da dire. La verità è che la Presidente di Fratelli d’Italia ha auto una reazione pessima e sbagliata». Nel centrodestra sono tutti contro tutti. Stavolta se lo dicono in faccia. E se Berlusconi si smarca verso il centro, o lo seguono o Lega e Fdi sono destinati a restare perdenti. Magari di successo. Ma perdenti.
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