Fa abbastanza senso assistere alla militanza social del capo leghista che indugia sulle marche dei cellulari e delle calzature dei migranti a detrimento del loro diritto di invaderci togliendo il posto ai “profughi veri”, vale a dire quelli a cui notoriamente si rivolgono le attenzioni cristiane della destra Ruspa&Rosario.

Usare i titoli di merito dei profughi provetti – incidentalmente di pelle bianca – e opporli a quelli difettosi degli altri, cioè i ragazzoni – incidentalmente di pelle nera – che vengono a godersi la pacchia dell’accoglienza italiana, rappresenta l’ultimo capitolo dell’ipocrisia ributtante con cui si rinnega la verità che dispiace a tanta brava gente che si appresta all’ombrellone: e cioè che quelli che sbarcano qui da noi fuggono da distruzioni e violenze non meno atroci rispetto a quelle che gli ucraini subiscono dal signore che fino a ieri stava in posa sulla T-shirt di Matteo Salvini.

Il bambino esausto di sangue su un marciapiede di Kiev non è diverso rispetto a quello che con il padre sgozzato o la madre lapidata langue con il ventre rigonfio di fame in una baracca africana di fango e lamiera. Ed è questa la realtà che spinge alle nostre frontiere tanti disperati, non quella da comizio che rammostra all’indignazione italiana i virgulti che rubano il lavoro e violentano le fanciulle.

Moralmente miserabile, questa selezione discriminatoria di stampo razziale e sostanzialmente classista è tanto più detestabile perché non ha nemmeno la giustificazione normalmente propinata, e cioè che “non possiamo accoglierli tutti” e che “bisogna aiutarli a casa loro”: lo smartphone dell’uno, infatti, è adoperato per concludere che non dobbiamo accoglierne nessuno; mentre il dovere di aiutarli a casa loro non trova riscontro nell’annuncio di investimenti laggiù, ma nella rivendicazione del diritto di ributtarli in mare. Nella retorica nazionalista che trova negli immigrati una inesauribile massa espiatoria c’è ora anche l’espediente della demagogia in tempo di guerra, e l’uso dei profughi rispettabili contro quelli un po’ cafoni.